In Venezuela il "miracolo" di Natale: una nuova chiesa per Ciudad Chavez
Marie Duhamel - Città del Vaticano
Il sole non è ancora sorto, ma loro sono già insieme. Da sabato 16 dicembre, ogni mattina a partire dalle 5, mantengono viva una tradizione natalizia molto radicata in Venezuela: "Las misas de Aguinaldo", un tempo approvata da Leone XIII. Durante queste nove celebrazioni, che rappresentano i nove mesi di gestazione di Maria, i fedeli intonano canti natalizi. Quest’anno a Ciudad Chavez c’è un qualcosa in più a regalare gioia. È la prima volta che la novena viene celebrata nella nuovissima chiesa, situata proprio nel cuore del quartiere popolare. Nelle strade di Ciudad Chavez, per volere dell’ex presidente Hugo Chaves, sono state costruite negli anni passati file di edifici grigi a quattro piani per ospitare i venezuelani le cui case erano state distrutte da calamità naturali. Come negli altri 35 quartieri popolari sorti in tutto il Paese durante il mandato di Chavez, ai 20 mila abitanti di Ciudad Chavez era stato fornito tutto: una scuola, una scuola secondaria, campi sportivi, negozi e via dicendo. Tutto insomma, tranne le chiese. Sebbene i cristiani siano la maggioranza nel Paese, non avevano un luogo dove riunirsi. Ma questo non ha scoraggiato la diocesi.
Messe celebrate all'aperto
Per andare incontro ai fedeli, sin dal 2014, anno di inaugurazione del quartiere, è stato avviato "un grande lavoro pastorale", racconta il salesiano Biord Castillo, vescovo di La Guaira, alla cui diocesi appartiene Ciudad Chavez. Per dieci anni, ogni domenica, un sacerdote ha celebrato la Messa in strada, indipendentemente dalle condizioni meteorologiche. Con la pioggia o con il sole, ogni domenica i fedeli erano lì, seduti uno accanto all'altro sui piccoli sgabelli che avevano portato con sé. Nel corso degli anni, ai bambini è stato insegnato il catechismo ed è stata allestita una mensa per i più poveri della comunità.
"Abbiamo costruito una comunità prima di costruire una chiesa", dice ancora Castillo. Dalla sua nomina a capo della diocesi da parte di Papa Francesco nel 2013, il religioso ha costantemente chiesto alle autorità di dare loro un luogo dove incontrarsi. Tre anni fa, il suo desiderio è stato esaudito e le autorità hanno offerto alla Chiesa un "bellissimo terreno vicino alla piazza principale". A 15 mesi dall’inizio dei lavori è stata eretta una chiesa con più di 350 posti a sedere, con una sacrestia, un presbiterio, un centro di accoglienza per i pellegrini e uno spazio dedicato ai servizi sociali. Per monsignor Castillo, la breve durata dei lavori, il fatto che sia stato possibile ottenere materiali da costruzione, normalmente introvabili a causa dell'attuale crisi economica, e anche il fatto che sia stato possibile mettere insieme, “nonostante le differenze di opinione”, la volontà di così tanti attori - governo nazionale, autorità locali, comunità, Chiesa - è stato un vero "miracolo". Tutti hanno contribuito a finanziare quello che dieci anni fa era ancora un sogno.
Una settimana di festeggiamenti, con Romero e Hernandez
In occasione della consacrazione della Chiesa, avvenuta a fine novembre, i festeggiamenti nella diocesi sono durati un'intera settimana. "Sono state celebrate dodici Messe, ogni parrocchia è venuta con il proprio sacerdote, i cori pastorali di tutta la zona hanno cantato, anche canzoni inedite dedicate a sant'Oscar Romero e a José Gregorio Hernández". La chiesa è stata dedicata al santo salvadoregno, "vicino al popolo, uomo di pace e di carità, impegnato per la giustizia e i diritti umani attraverso la sua opzione per i poveri", sono state le parole di Biord durante i festeggiamenti, mentre la diocesi ha dedicato al beato venezuelano un santuario a Ciudad Chavez, il primo nel Paese a portare il nome di questo professore universitario e medico laico, colto e umile, al servizio dei poveri.
I fedeli di Ciudad Chavez
Il giorno della consacrazione, le reliquie del beato sono state esposte sull'altare, dopo essere state portate in processione da un gruppo di uomini molto impegnati nella comunità, poiché per tre anni i "cavalieri del vescovo Romero" hanno protetto il Santissimo Sacramento, in particolare durante le notti di adorazione della Settimana Santa. Quel giorno, anche altri fedeli di Ciudad Chavez hanno vissuto diversi privilegi. Due nonne, ad esempio, si sono avvicinate all'altare durante l'offertorio, portando con sé i loro preziosi sgabelli, quelli che hanno usato per dieci anni per assistere alla messa sul marciapiede. E poi c’è stata la gioia di Lucy, che ha potuto leggere la prima lettura in nome di suo figlio Michael, morto all'età di 36 anni.
Riconciliazione, servizio ai poveri ed evangelizzazione
“La nuova chiesa è il frutto di un impegno collettivo, di decine di storie personali, e appartiene a tutti, proprio come il santuario", sottolinea ancora monsignor Biord. Il vescovo ricorda anche che per Natale il capo della polizia di Stato, la procura, diverse associazioni culturali e un partito di opposizione hanno chiesto di celebrare lì una messa. È diventato un luogo di incontro, una casa per tutti, “una gioia in un Paese che ha tanto bisogno di riconciliazione". In san Romero e nel beato Hernandez si possono “trovare motivi per unirci, per costruire un Venezuela più giusto e più in linea con il Vangelo", aggiunge il vescovo di La Guaira. Riconciliazione, attenzione ai più poveri e soprattutto evangelizzazione sono al centro delle sue priorità pastorali. "Il Natale nascerà nel cuore di tutti", conclude, in particolare dei 160 bambini iscritti ai corsi di catechismo a Ciudad Chavez: "Nella solennità di Cristo Re, le loro mamme hanno regalato loro una corona di cartone per incoraggiarli a seguire Cristo e a costruire un regno di pace e giustizia".
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