RDC, suor Espérance: il popolo è stanco di violenze
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Disastri ambientali e violenze stanno piegando la Repubblica democratica del Congo. In questi giorni, i danni per l'esondazione del fiume Congo hanno colpito più di 330.000 persone, causando, dicono i funzionari, 300 morti. Secondo l'OMS, 34 strutture sanitarie, 120 scuole e più di 64.000 case sono state danneggiate. Intanto, molto alta resta la tensione nel Paese dove le elezioni presidenziali, tenutesi dal 20 al 24 dicembre scorso, sono state vinte da Felix Tshisekedi il quale - con il 73,34% dei voti, secondo i risultati ufficiali annunciati dalla Commissione Elettorale Indipendente /CENI - si è affermato per un secondo e ultimo mandato.
Irregolarità nelle elezioni rilevate anche dalle Chiese
Rischio di colera e di accesso sanitario assai difficile: è quanto si registra nel Paese più grande dell'Africa sub-sahariana alle prese con il livello del fiume ai massimi storici. Le inondazioni stanno generando disordini in una regione già fiaccata da conflitti antichi e stratificati. Sul fronte politico, ciò che emerso nelle ultime settimane è stata l'opacità del conteggio delle schede di voto - rilevata sia dall'opposizione che dagli osservatori indipendenti - che ha alimentato forte destabilizzazione. Anche la missione di osservazione elettorale delle Chiese cattolica e protestante della RDC ha affermato di aver constatato "molti casi di irregolarità". Tra i candidati figurava anche Denis Mukwege, medico congolese vincitore nel 2018 del Nobel per la Pace per il suo lavoro sulle persone sopravvissute agli stupri di guerra. Preoccupazione per la situazione è stata espressa anche dall'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Turk, secondo cui nel Paese c'è un aumento dell'incitamento alla violenza a sfondo etnico in particolare nelle province del Nord e del Sud Kivu, così come nelle regioni del Kasai e del Katanga. "La retorica odiosa, disumanizzante e incitatrice - ha affermato - è ripugnante".
In trent'anni, oltre sei milioni i morti per attacchi armati
Il 9 gennaio le autorità della Repubblica Democratica del Congo hanno arrestato sei soldati accusati dell'uccisione indiscriminata di quattro civili durante gli scontri tra milizie nell'est del Paese. Gli scontri sono avvenuti nel distretto rurale di Mangina, vicino a Beni. Qui dal mese scorso, quando un membro dell'assemblea provinciale ha incoraggiato i giovani a prendere le armi, formando una piccola milizia per opporsi all'esercito, il clima si è infiammato. Il Congo orientale ospita decine di gruppi di miliziani, alcuni dei quali reduci dalla guerra civile del 1998-2003. Negli ultimi trent'anni le persone uccise in attacchi di gruppi armati e nelle violenze locali sono state oltre sei milioni. Tra i gruppi armati più attivi ci sono l’M23, un gruppo ribelle formato soprattutto da persone di etnia Tutsi, le Forze Democratiche Alleate, gruppo islamista, e le milizie armate che compongono il CODECO (Coopérative pour le développement du Congo), un’ex cooperativa agricola diventata movimento armato di ribelli contro il governo. Sempre per via delle violenze la Repubblica Democratica del Congo è tra i Paesi con il più alto numero di sfollati interni: da marzo 2022 quasi 7 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie abitazioni.
Comboniane: i sacrifici di un popolo che vuole la pace
Pur non seguendo da vicino le questioni politiche del suo Paese, a motivo anche della distanza territoriale che la separa ormai da oltre un anno dal suo Paese di origine, suor Espérance Bamiriyo, già Provinciale delle Missionarie Comboniane dal 2011 al 2014, è preoccupata. La raggiungiamo a Verona, dove è responsabile della Casa Madre della sua Congregazione. Ricorda il periodo vissuto in Congo come un periodo bello, anche se per nulla facile: "Non c’era libertà di espresione, durante Kabila". Si è recata poi in Uganda per due anni e dopo in Sud Sudan.
"L’unica cosa che so è che c’è tanta confusione in questo periodo post elettorale", denuncia la religiosa. "So che la gente è senza lavoro, le strade non sono a posto, il governo deve sempre rispondere di fronte all’emergenza della guerra. Si deve ripartire dalla ricerca del bene della popolazione e lasciare che il popolo faccia il suo cammino. Si deve ripartire nella ricerca della verità. La gente deve avere qualcosa sul tavolo il giorno", scandisce. Parla di una situazione che ai suoi occhi negli ultimi anni "non è cambiata tanto, anzi, forse è peggiorata. La popolazione è vittima. Il governo non è libero per tante interferenze. I gruppi regionali entrano sempre più dentro il Paese per indebolire la gente, ma quello che non è cambiato è la resilienza della popolazione che trova la forza nella preghiera e nella fierezza per il proprio Paese, che spera che un giorno il Signore ci porterà la pace".
Le atrocità delle violenze in quei testimoni di fronte al Papa
Entro la fine del 2024, con un anno di anticipo rispetto alla scadenza prevista per la missione, ci sarà il completo ritiro delle Forze Onu di peacekeeping dalla Repubblica Democratica del Congo. Proprio sull'opera condotta dalle Nazioni Unite nel Paese,suor Espérance mostra tutta la sua perplessità: "Tante volte, viaggiando per la visita alle mie consorelle, ho vissuto la paura degli attacchi delle bande armate. Sulla strada non si sa chi è dietro, di fronte. Ho fatto dei viaggi in cui veramente sono rimasta 'sospesa', non sapendo se si sarebbe arrivati o no a destinazione. Situazioni che porto sempre con me. Ho visto macchine in fiamme dove avevano appena ucciso delle persone. Persone innocenti, o costrette a fuggire. Così c’è il via libera per chi deve sfruttare quelle terre. E l’Onu? Dovrebbe osservare... Ma cosa osserva? I gruppi armati eliminano le persone. le mandano via dai loro villaggi. Fanno terra bruciata. Bruciano capanne, cliniche. Usano i machete per fare razzie". Proprio queste atrocità, documentate nelle testimonianze rese al Papa quando effettuò il suo viaggio apostolico nel Paese, la fanno ancora rabbrividire.
Quel monito di Francesco: "Giù le mani dall'Africa!"
"L’Africa non è qualcosa da sfruttare, le persone non sono numeri", sottolinea ancora la suora, nata in un Paese che è il primo produttore mondiale di cobalto e di altre preziose materie prime industriali, e per questo preda di traffici che sventrano il territorio. "Noi abbiamo una comunità nel nord Kivu - riprende - nella parte est del Congo dove c’è la guerra economica". E precisa che di guerra economica si tratta: "Quando si dice che c’è la guerra etnica, in realtà non è vero. È una guerra economica sulla quale il mondo chiude gli occhi a causa dei minerali e della foresta". E ricorda: "In Sud Sudan avevamo atteso con trepidazione la visita del Papa che poi fu rimandata. Quando andò, io non ero più lì. L'ho comunque seguito con molta attenzione e molto interesse, da lontano. Sono Paesi dimenticati, con guerre e problemi verso cui nessuno porge l’orecchio. Molto importante il discorso alle autorità, in particolare". Ripete quanto ancora resti impresso quel monito di Francesco: "Giù le mani dall’Africa!".
Suor Espérance: promuovere la dignità delle persone
Che eredità crede di aver lasciato là? "Credere nel popolo. Comboni aveva creduto nelle persone. Ha promosso la dignità della persona africana, ha creduto in loro", spiega Bamiriyo che ha sempre operato in questa direzione: promuovere le persone nella loro integrità e dignità, credere nelle loro capacità. "In Sud Sudan ho lavorato come insegnante in un collegio per infermiere e ostetriche in modo che loro stesse potessero diventare 'protagoniste'. 250 infermiere si sono laureate e 150 ostetriche pure, loro là salvano la vita della gente. Iniziare un anno nuovo in questi fuochi di guerra, mi fa pensare che davvero che c’è ovunque questa guerra mondiale a pezzi". Mentre ricorda quando una volta, in un villaggio dove la gente era sempre ammalata, ebbe l'intraprendenza di costruire dei punti di accesso per acqua pulita così da vedere rinascere, letteralmente quelle persone, e lei con loro, leva il suo appello per la pace: "Che possiamo davvero vedere il volto di Dio nell’altro che è diverso da me. Quando questo avverrà saremo in grado di arrivare a una pace duratura. Nel mio nome porto la speranza".
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