Haiti, il vescovo Dumas: “Mi offro come ostaggio per salvare le suore rapite”
Federico Piana - Città del Vaticano
“Per favore, prendete me al loro posto. Sono pronto!”. Quando lancia l’appello ai rapitori, monsignor Pierre-André Dumas ha ancora stampato negli occhi il sorriso degli angeli portati via con la forza tre giorni fa mentre su un autobus percorrevano le polverose strade della sua diocesi, Anse-à-Veau-Miragoâne. Sei suore della congregazione di Sant’Anna, delle quali il pastore d’anime di quella grande porzione di Chiesa haitiana conosce bene l’altruismo e l’abnegazione, insieme all’autista del mezzo e alla giovane nipote di una loro consorella che aveva il sogno di partecipare a delle lezioni universitarie.
Disposto a donare la vita
Per tutti, il porporato sarebbe disposto a donare la propria vita, senza alcun ripensamento. “Per ora, dai sequestratori non ho ricevuto alcun segnale. Ma io sono qui. Si sono offerti di accompagnarmi anche un sacerdote della mia diocesi che lavora in una bidonville e una suora di Madre Teresa di Calcutta”, dice, con una voce carica d’emozione. E traboccante di concitazione per l’ansia di chiudere bene una vicenda che sta scuotendo l’intera Chiesa locale.
Dolore ed indignazione
Ma oltre al dolore c’è l’indignazione. Le religiose rapite - forse tenute segregate a sud della capitale, Port-au-Prince, da una delle bande armate che stanno mettendo a ferro e fuoco il Paese caraibico e che chiedono 3 milioni di euro per la liberazione– da sempre si spendono per sanare le ferite di uno dei popoli più poveri del mondo. Senza chiedere nulla in cambio. “Si occupano – racconta il vescovo – di educare i giovani, di evangelizzare, di stare vicino a chi non ha nulla. Hanno donato completamente la loro vita alla nostra gente”. E, dunque, monsignor Dumas è inorridito per il fatto che i figli di quello stesso popolo possano aver messo in atto un gesto che lui stesso definisce “disumano" e "del quale, un giorno, Dio chiederà conto”.
Grazie al Papa
Dumas si sente rincuorato dall’appello per la liberazione degli ostaggi che il Papa ha pronunciato con fermezza nel post Angelus di ieri, domenica 21 gennaio. “Francesco ha voluto pregare per la concordia sociale del Paese, e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno”, spiega il porporato che prova anche a far comprendere come questo rapimento si inserisca in una situazione di violenza generata non solo dalla povertà estrema ma anche dalla completa assenza della politica e delle istituzioni. “La nazione - denuncia - non è governata. Le elezioni sono state sospese, non ci sono istituzioni democratiche e ad operare sono solo i clan armati, che gestiscono quasi l’80% di Port-au-Prince. Davvero ha ragione il Papa: manca una vera armonia sociale”.
Chiesa in campo
Il ruolo della Chiesa locale, in questo contesto incandescente, è quello di suscitare un dialogo tra tutti gli attori politici ed istituzionali. Questo è necessario, spiega il vescovo, perché la gente è stanca: “Da più di tre mesi mi sono offerto, con il via libera della nostra Conferenza Episcopale, di ascoltare tutte le parti in causa. Stiamo cercando di ottenere un consenso largo - conclude - per uscire fuori da questa crisi nel miglior modo possibile”.
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