Camerun, le suore Venerini di Ebolowa: la nostra missione tra la gioventù
Francesca Sabatinelli – Ebolowa
“Ebolowa? È il centro della nostra vita e della nostra missione”. Suor Maria Testa, della Congregazione delle Maestre Pie Venerini classe 1941, abruzzese di Corcumello in provincia de L’Aquila, quest’anno festeggerà il suo 37mo compleanno camerunense. “Era il 21 agosto, siamo arrivate qui a Ebolowa in due, con me c’era suor Giuseppina Moroldo, che ora non c’è più". A loro si aggiunse, pochi mesi dopo, suor Maria José Carregosa Santana, che si occupava del lebbrosario; suor Giuseppina stava con gruppo delle mamme, mentre suor Maria stava con i giovani e i bambini, con i gruppi dell’oratorio salesiano. “Io vivo nella nostalgia dei tempi passati”, confida con un sorriso, ricordando la vita di queste tre suore arrivate, una dal Brasile e due dall’Italia, nel capoluogo della regione del Sud, nel cuore della foresta equatoriale, nell’area francofona del Camerun.
Le opere delle Venerini
Da allora la presenza delle suore Maestre Pie Venerini si è estesa alla capitale Youndé, a Bimingue, dove ora si trova suor Maria, a Lablé e a Ebolowa dove si contano 11 suore e una novizia impegnate nella gestione di un grande complesso scolastico che comprende la scuola materna e la scuola primaria, con inoltre annesso un Atelier protegé per ragazze madri e i loro bambini. A questo si aggiunge la scuola per la formazione professionale e tecnica delle ragazze, l’Istituto Tecnico Femminile Santa Rosa Venerini, che si trova poco distante da Ebolowa, nel sobborgo di Ngalan, che ha ottenuto il riconoscimento “visti i risultati e confrontati con le altre scuole”, sottolinea la religiosa con orgoglio.
L'aiuto ai poveri
Basta varcare la soglia della scuola materna ed elementare per essere investiti dalla furia dei piccoli allievi, che tra baci, abbracci e balli, inondano i visitatori di gioia e allegria, dai più piccoli, di 3 anni, ai più grandi. “La scuola materna è piena, strapiena – spiega la suora – i genitori li mandano volentieri, un po’ per l'ambiente, per l'igiene, anche se qualche volta mancano acqua e corrente”. L’aiuto di queste suore alle famiglie è inestimabile, accolgono i loro bambini garantendo una istruzione a questi piccoli che, nella maggior parte dei casi, vivono in baracche sovraffollate, perlopiù costruite in legno, con fogli di zinco per tetto, con pochissima luce, che sia naturale o artificiale, con fogne a cielo aperto e i piccoletti che giocano scalzi nei canali di scolo. “Di povertà ce ne è tanta – spiega suor Maria – ma spesso i veri poveri non si manifestano, non chiedono troppo, restano un po’ ritirati”.
Il sostegno alle giovani in difficoltà
L’Atelier protegé accoglie ragazze madri, che non hanno potuto studiare, cacciate da casa perché rimaste incinte o abbandonate dai padri dei loro bambini. Le suore le seguono per insegnare loro il taglio e il cucito, per potersi poi costruire un futuro lavorativo. Il problema è che - e a spiegarlo è suor Alice Kegni, delegata delle Venerini di Camerun e Benin - “le possibilità che abbiamo sono poche, per l’acquisto dei materiali, ma anche per lo spazio che è poco e che ci costringe a rifiutare altri ingressi”.
La solidarietà del Gruppo India
Tutto questo aiuto rivolto a chi un domani sembrava non doverlo avere, presenta un conto salato alle Maestre Pie Venerini, che dallo Stato non ricevono nulla, “Lo Stato promette sì – precisa suor Maria – poi però le scuole private cattoliche non le aiuta”. La fortuna, aggiunge, “è stata quella di conoscere il Gruppo India, l’onlus fondata dal gesuita padre Mario Pesce che gestisce progetti di sostegno a distanza e aiuti umanitari e sorregge l’Istituto Tecnico Femminile. “Quando arriva l’aiuto, respiriamo", spiega, "si saldano i professori e i debiti, ne approfittiamo per comperare le stoffe per fare i vestiti e per organizzare corsi di aggiornamento. Poi c’è la salute delle nostre studentesse, e ci sono le ragazze madri con i loro figlioli, e quindi ci si occupa anche di questi neonati, che poi crescono, che devono andare a scuola, con la mamma che ancora non è formata e che non ha un lavoro”. Qualche volta “è fatica, veramente”, ammette suor Maria Testa, “ma si va avanti, perché ci da gioia quando possiamo vedere che una ragazza è sollevata perché si sente appoggiata”.
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