Torino, i 160 anni di Opera Barolo. Repole: carità senza dimenticare la cultura
Roberta Barbi - Città del Vaticano
“Il carcere è una parte negata della città, mi colpisce molto che quando si chiede ai bambini di disegnare come vedono la loro Torino, il carcere sia sempre assente…”. Così monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino e presidente per il triennio in corso dell’Opera Barolo, spiega la propria idea di celebrare il 160.mo anno dell’istituzione con un ciclo di sei conferenze sul tema carcere, organizzate in collaborazione con il settimanale diocesano “La Voce e il Tempo”, che accompagneranno le attività dell’Opera per tutto il 2024. Per volere della stessa marchesa, infatti, l’Opera è presieduta per un triennio dalla più alta carica civile della città, per il triennio successivo da quella ecclesiale.
Nel solco di Papa Francesco: “Perché loro e non io?”
La prima conferenza del ciclo si è svolta il 19 gennaio scorso - giorno della morte della marchesa Giulia - ed era intitolata con le parole che Papa Francesco pronuncia spesso quando fa visita in carcere: “Perché loro e non io?”. Si è trattato della presentazione del libro scritto a quattro mani dal conventuale fra Beppe Giunti, da anni volontario negli istituti di pena, e dalla giornalista Marina Lomunno, “E-mail a una professoressa - Come la scuola può battere le mafie”. “L’istruzione è uno dei principali deterrenti della delinquenza - spiega monsignor Repole - la scuola è il luogo in cui si imparano le parole con cui si dà un nome alle cose e si sviluppano pensieri che saranno utili ad affrontare la vita, sia per quelli che vivranno l’esperienza carceraria, sia per quelli che vi si dovranno confrontare per lavoro o volontariato e così lo faranno in maniera umana, civile, caritatevole”. Il prossimo incontro è previsto per il 15 marzo e si parlerà di Costituzione, mentre tra gli altri temi che saranno affrontati nel corso dell’anno ci saranno la giustizia, il recupero e lo scorrere della vita detentiva: “Abbiamo scelto argomenti che potessero essere comprensibili e interessanti per un pubblico vasto”, ha detto ancora il presule.
Il Rifugio, una casa d’accoglienza di 200 anni fa
Tra le azioni originali dell’Opera, volute dalla stessa marchesa, c’era il miglioramento delle condizioni di vita delle donne detenute, tanto che l’attuale cittadella della solidarietà in Borgo Dora, 200 anni fa ospitava Il Rifugio, una casa d’accoglienza per le donne che una volta scarcerare tornavano in società e non ricevevano altro aiuto per il reinserimento. “La dimensione del recupero degli ex detenuti è ancora drammatica - testimonia monsignor Repole - eppure è una questione che riguarda tutti: chi viene scarcerato e torna in società non può dire di aver riconquistato una libertà piena finché non gli viene restituita la dignità. È un percorso che richiede tempo anche fuori dal carcere, a cui sia la società civile che la Chiesa sono chiamate a collaborare”.
Il lavoro: strumento che conferisce dignità alla persona
La marchesa di Barolo nella sua epoca aveva già compreso che è il lavoro lo strumento principale per un autentico recupero delle persone detenute e per il loro reinserimento. Purtroppo in Italia la realtà è molto diversa da quella che dovrebbe essere e non ci sono occasioni di lavoro per tutti i detenuti: “Il lavoro è difficile, è un momento critico per tutti – rileva l’arcivescovo – la nostra città, Torino, a vocazione industriale, oggi è in rapida trasformazione, ma il tema del lavoro è un tema complesso per tutti, per chi è fuori e chi è dentro”.
Il vescovo: pastore di tutti i cittadini, anche quelli privati della libertà
Il vescovo di una diocesi è pastore e guida per coloro che vi abitano, ma può non essere facile portare parole di conforto a coloro i quali versano in una condizione di privazione della libertà: “Noi non coincidiamo con i nostri errori, non coincidiamo con i nostri peccati, siamo sempre più grandi – conclude monsignor Repole – un carcere che funziona può costituire un’occasione di ripensamento di ciò che si è fatto, pur nella sua drammaticità, e un’occasione per guardare al futuro e decidere chi si vuole diventare”. E queste sì che sono parole di speranza.
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