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Sarcofago con ritratto femminile databile ai primi tre decenni del IV secolo. (Foto © Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano, inv. 31556. Tutti i diritti riservati.) Sarcofago con ritratto femminile databile ai primi tre decenni del IV secolo. (Foto © Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano, inv. 31556. Tutti i diritti riservati.)  #SistersProject

Epilogo: la donna, creata a immagine di Dio e chiamata ad annunciare Cristo

La vita religiosa come la conosciamo oggi – sia quella contemplativa, sia quella attiva – si è evoluta nel corso di due millenni. In questo articolo, l'ultimo di quattro, si analizza cosa possa avere indotto donne del cristianesimo primitivo a aver dato un contributo attivo all’edificazione della Chiesa

Christine Schenk CSJ

Come raccontato nei tre articoli precedenti di questa serie, le prove che ci giungono dall’iconografia e dalle iscrizioni sulle tombe riguardo alle donne del cristianesimo primitivo, insieme agli scritti contemporanei sulle “madri della Chiesa”, dimostrano che le donne hanno esercitato forme di governo nel servizio come vedove iscritte (nel catalogo delle vedove), diaconesse, guide di chiese domestiche e monasteri, evangeliste, insegnanti, missionarie e profetesse. In molti casi, le donne hanno governato altre donne anche se ci sono eccezioni rilevanti come quella della diaconessa Marthana di Seleucia (Turchia), che governò un monastero doppio nel sito del martirio di Santa Tecla. Queste donne del cristianesimo primitivo liberamente hanno testimoniato e predicato nonostante la forte opposizione da parte di uomini del loro tempo.

Come le donne hanno superato l’opposizione

Ci si potrebbe chiedere a ragion veduta da dove siano venute quella forza e quell’autorità interiore che hanno spinto donne della Chiesa primitiva a ignorare i tentativi di ridurle al silenzio. Io credo che quello che ha spinto le donne a parlare piuttosto che rimanere in silenzio sia stata la loro fede nel Cristo risorto.

Il sarcofago che andiamo a esaminare fornisce un indizio su come almeno una donna cristiana (che chiameremo Junia”, poiché il suo vero nome è sconosciuto) ha compreso quale fosse la fonte della sua autorità interiore.

Al centro della figura n.1, Junia tiene nella mano sinistra un codice mentre la destra è sollevata in gestualità di oratore. Ai suoi due lati, scene bibliche che rappresentano (da sinistra a destra): Dio Padre con Caino e Abele; Cristo con Adamo ed Eva; la guarigione del paralitico; la guarigione del cieco nato; il miracolo di Cana e la resurrezione di Lazzaro. Alcuni anni prima di morire Junia, o la sua famiglia, aveva commissionato questo sarcofago scolpito in modo unico, per commemorare lei e i valori che avevano plasmato la sua identità.

Quando poi Junia fosse morta, il suo sarcofago sarebbe stato portato nella sua casa dove lei sarebbe rimasta esposta per sette giorni in modo che i familiari, i clienti e gli amici potessero renderle omaggio e ammirare stupiti il suo memoriale scolpito con tanta perizia: sarebbero entrati in uno spazio liminale per meditare sulla sua vita, i suoi valori, le sue convinzioni e, inevitabilmente, sul significato della vita e della morte.

 

In un articolo pubblicato nel 2004 la dottoressa Janet Tulloch – specialista delle arti figurative del cristianesimo primitivo – osservava che l’arte antica poteva essere considerata come un discorso sociale inteso ad “attrarre l’osservatore come se fosse un partecipante” e che l’arte era compresa “per interpretare significati, non semplicemente per incorporarli”. Secondo il criterio di Tulloch, quindi, è ragionevole pensare che Junia desiderasse che i suoi cari entrassero in uno spazio liminale per sperimentare la potenza di Cristo nel capovolgere gli effetti della caduta – con la guarigione del cieco e dello storpio – fornendo vino in abbondanza nel nuovo Regno di Dio e risvegliando Lazzaro (e Junia) dai morti.

Dettaglio di una donna defunta (anonima) con un codice e in atteggiamento di oratore, mentre Cristo si avvicina per parlare con lei. (Foto © Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano, inv. 31556. Tutti i diritti riservati.)
Dettaglio di una donna defunta (anonima) con un codice e in atteggiamento di oratore, mentre Cristo si avvicina per parlare con lei. (Foto © Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano, inv. 31556. Tutti i diritti riservati.)

Dove aveva trovato, Junia, l’autorità per testimoniare e insegnare Cristo? Un suggerimento può darcelo l’espressione del suo volto, scolpito vicino a quello di Cristo che si china verso di lei, con la bocca aperta, come se stesse mormorandole qualcosa nell’orecchio (fig. 2). Junia e la sua famiglia volevano che fosse ricordata come una persona che aveva insegnato con l’autorità di Cristo. Le persone che la rimpiangono non comunicano soltanto con la defunta Junia ma anche con il Cristo che guarisce e solleva attraverso il significato evocato e “realizzato” dall’arte sul suo sarcofago. Junia esorta i vivi ad abbracciare Cristo che ha autorizzato il suo ministero e al quale ella rende testimonianza persino oltre la morte.

Le donne pioniere successive

Queste donne del IV secolo sono precorritrici delle religiose monastiche e apostoliche delle epoche successive, che confidavano nella potenza di Cristo per portare guarigione e giustizia, nonostante la forte opposizione che si trovavano ad affrontare. Per esempio, la nascita e lo sviluppo dell’istruzione pubblica e degli ospedali – in Occidente e nel Sud del mondo – può essere ricondotta a ordini di religiose che si sono rifiutate di essere chiuse in convento per essere libere di assistere i malati, i poveri e gli analfabeti.

Chiara di Assisi ha scritto la prima regola monastica per donne: mai più la sua comunità avrebbe fatto affidamento sulle doti dei ricchi. E questo avrebbe significato che tutte le sue sorelle sarebbero state uguali. Il vescovo le oppose una strenua resistenza e cedette soltanto quando Chiara si trovò sul letto di morte. Nonostante la paura dell’Inquisizione, Teresa d’Avila indicò strade nuove per sperimentare la presenza di Dio nel centro della nostra esistenza e nelle istituzioni e nei sacramenti della Chiesa. Durante l’epidemia della Morte Nera, Giuliana di Norwich proclamava un Dio misericordioso che non condannava alla dannazione eterna coloro che morivano prima di aver ricevuto l’assoluzione, come invece la Chiesa insegnava in quel tempo. “Tutto andrà bene, tutte le cose andranno bene”, diceva ai suoi concittadini disperati. In generale, i Dottori della Chiesa-donna, come Teresa d’Avila, Hildegard von Bingen, Teresa di Lisieux e Caterina da Siena, testimoniavano un Dio della misericordia piuttosto che del giudizio.

I rilievi scolpiti sulla tomba della nostra antenata “Junia” ci lasciano intuire che la sua esperienza di comunione con il Cristo risorto sia stata fondamentale alla sua predicazione e al suo insegnamento, nonostante gli ammonimenti a rimanere in silenzio. Nella lunga storia del cristianesimo – e forse in particolare nella storia degli ordini religiosi femminili – la vicinanza di Cristo ha aiutato i credenti a superare ostacoli apparentemente impossibili, incoraggiandoli ad affrontare rischi per il nostro Abba, Dio-Padre, il cui amore – alla fine – regnerà in terra come in cielo.

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27 febbraio 2024, 09:50