Ucraina, il miracolo polacco della moltiplicazione dei pani
Beata Zajączkowska - Città del Vaticano
“L’aiuto dei polacchi per gli ucraini è come un nuovo miracolo della moltiplicazione dei pani, abbiamo nei loro confronti un debito di gratitudine per tutta la vita”. Non usa mezzi termini padre Misza Romaniv, domenicano ucraino, responsabile del Centro S. Martino di Porres a Fastiv. Situato a 70 km da Kyiv, il Centro domenicano è diventato durante la guerra il più grande hub umanitario in Ucraina. La sua attività mostra l’altro volto del conflitto, quello legato alla misericordia, al servizio, al coraggio e alla determinazione.
“Siamo diventati una grande famiglia di guerra e sperimentiamo che il Signore Dio benedice fortemente il nostro lavoro”, sottolinea da parte sua Marzena Michałowska. La volontaria polacca è appena tornata da Kherson dove, subito dopo la liberazione della città dai russi, l’equipe di Fastiv ha aperto una cucina sociale, sostenuta da Papa Francesco attraverso l’Elemosineria Apostolica. “I bisogni sono enormi, ogni giorno serviamo fino a mille pasti che vengono consegnati anche agli anziani e ai malati”, precisa la volontaria. Lo scorso anno sono stati preparati 100 mila pasti caldi. La città, devastata dall’occupazione e dall’alluvione, causata dalla distruzione della diga di Kakhovka lo scorso anno, è ancora sotto il fuoco dell’esercito russo che staziona sull’altra riva del Dnipro. “Più volte - ammette la Michałowska - abbiamo dovuto fuggire dalle sparatorie, ma quando si sa che il destino di quelle persone dipende dal tuo aiuto, non si può smettere di aiutare. Quando arriviamo, nei loro occhi si accende la speranza e questo è forse più importante che il portare cibo in scatola, farina o zucchero”.
Dio chiama in Ucraina
Ascoltando la sua storia, si capisce che il Signore Dio l'ha voluta in Ucraina in questo momento così buio. Michałowska di professione è un'educatrice e logopedista. Una decina di anni fa è stata coinvolta nella pastorale domenicana di Varsavia, in via Freta, che organizza gli aiuti per il centro di Fastiv. Così dapprima ha conosciuto il Centro da lontano. Si è occupata della ricerca di benefattori e della logistica. Col tempo, ha conosciuto gli ucraini che venivano a studiare in Polonia grazie al sostegno dei domenicani e ha cercato di aiutarli nei loro problemi quotidiani. “Con il passare del tempo - racconta - nel mio cuore è nata una sorta di urgenza di andare personalmente a Fastiv e conoscere il posto dall'interno”. Ci è andata nell'autunno del 2021 per tre mesi. Ha visto come funziona il Centro, quali sono le maggiori esigenze e ha elaborato un piano per le sfide più urgenti. Per poter mettere avviare questo lavoro, ha deciso di andare in Ucraina per un anno. “Ho fatto domanda per un visto di volontariato e l'ho ritirato il giorno prima dello scoppio della guerra”, ha ricordato. I tre mesi successivi sono stati impegnati nell'organizzazione intensiva degli aiuti a Varsavia. I camion con gli aiuti umanitari si fermavano continuamente davanti al monastero domenicano. A volte succedeva di svegliare i padri domenicani di notte perché i camion degli aiuti dovevano essere scaricati. “Questa reazione è stata incredibile. Da un lato, ha mostrato l'enorme generosità dei cuori polacchi e, dall'altro, ci ha fatto capire quale reputazione abbiano sviluppato i domenicani nel corso degli anni. Le persone volevano aiutare attraverso di loro perché sapevano che nulla sarebbe stato sprecato e tutto sarebbe andato a chi ne aveva bisogno”. Dopo tre mesi la volontaria si è messa al volante di un camion pieno fino all’orlo di aiuti ed è partita per Fastiv: “Era la prima volta che guidavo un mezzo così grande, c’erano 2.000 km da percorrere e attraversare il confine con il Paese in guerra. Ho chiesto ai miei genitori defunti di intercedere per me dal cielo e ho pregato per tutto il tragitto”.
Michałowska ha sottolineato che senza il gruppo di volontari legati a Fastiv, che da anni portavano gli aiuti e sapevano come reagire nelle diverse necessità, questa macchina umanitaria non avrebbe funzionato così bene. “Quando sono arrivata a Fastiv, sulle prime case intorno a Kyiv abbiamo sistemato i tetti distrutti dai bombardamenti. Allo stesso tempo, migliaia di rifugiati passavano per il centro, madri con bambini, anziani e disabili si rifugiavano da noi. Abbiamo subito fornito ai bambini lezioni, gioco e sostegno psicologico. Dalla mattina alla sera preparavamo il pane per chi ne aveva bisogno”. Quando i russi hanno cominciato a ritirarsi, i volontari si sono mossi immediatamente per aiutare i villaggi liberati. I ricordi della volontaria nono nitidi: “Non dimenticherò mai la scena: decine di chilometri di terra bruciata, enormi crateri di bombe sulle strade e la consapevolezza che ogni luogo era pieno di mine lasciate dagli invasori. Mi tornarono in mente le immagini di Varsavia rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale e nacque la speranza che un giorno la vita sarebbe tornata anche qui”. La Michałowska ricorda che, in occasione della Giornata dei bambini, è stato fatto un giro per i villaggi del fronte con una macchina per lo zucchero filato e i popcorn. “Alcuni di quei bambini hanno trascorso più di tre mesi nel seminterrato. Hanno preso i regali, ma non sorridevano affatto, avevano paura di ogni estraneo. Questo ci ha spinto a fornire loro un supporto psicologico per aiutarli a recuperare la loro infanzia”. La donna confessa che non sarà facile: “A ogni allarme, i bambini devono scendere al rifugio. Nella nostra scuola materna di Fastiv, vedo bambini di due o tre anni che vanno in giro trascinandosi dietro un orsacchiotto. È così che ricorderanno la loro infanzia”.
Eroi dietro le quinte
La volontaria ricorda una senzatetto incontrata a Borodianka (circa 60 km da Kyiv), che durante l'occupazione russa girava per la città con un carrello della spesa e un'orda di cani intorno a lei. “I soldati russi la trattavano come una pazza innocua e le davano persino da mangiare, e lei portava acqua e cibo alle persone che vivevano sotto le macerie con il pretesto di nutrire gli animali. I ragazzi ucraini che tornavano dal fronte la chiamavano eroina”, ha riportato. Ha affermato anche che in molte occasioni l’equipe di Fastiv ha sperimentato che il Signore Dio si prende cura di loro: “Una volta la nostra auto si è rotta e ci siamo arrabbiati perché non saremmo arrivati in tempo. Si è scoperto che il posto di soccorso dove avremmo dovuto distribuire il cibo era stato attaccato. Molti civili erano stati uccisi, compresi i volontari”. La volontaria assicura di essere consapevole dei rischi e di cercare di essere più prudente possibile: “In guerra avverto con più forza che le nostre vite sono nelle mani di Dio”. Basti pensare a un soldato ucraino che era tornato dalla sua famiglia dopo un anno di combattimenti al fronte. Leopoli era stata bombardata per la prima volta dopo molti mesi e lui è stato ucciso nel magazzino della Caritas dove aveva iniziato a lavorare.
“Prima di andare da qualsiasi parte iniziamo la giornata con la Messa, anche se la partenza è alle 5 del mattino”, ha affermato Michałowska. Ha sottolineato che il centro di Fastiv ha un carattere tutto suo perché vi prestano aiuto cristiani di diverse fedi e anche non credenti. “Ricordo che uno dei nostri assistiti andò da una cartomante per chiederle del futuro dell'Ucraina. Quando è tornato gli ho detto addolorata che noi qui confidiamo in Gesù. E lui mi ha risposto con le lacrime agli occhi: ‘Ma nessuno mi aveva mai parlato di Dio’. Mi sono vergognata di averlo giudicato e sono rimasta scioccata dal dallo scempio compiuto durante il regime comunista nei territori dell’Ucraina”.
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