Costretti a scegliere tra le medicine e il cibo, gli ucraini a quasi due anni di guerra
Svitlana Dukhovych – Città del Vaticano
Quando si parla di guerre, l'impatto sulla salute pubblica è grave e immediato. In Ucraina, a quasi due anni dall’invasione russa, l’esercito di Mosca continua a bombardare sistematicamente le infrastrutture civili, comprese quelle mediche. Molti ospedali, cliniche, ambulatori sono stati pesantemente danneggiati o distrutti. Secondo i dati del Ministero della Sanità ucraino, pubblicati all'inizio di gennaio, la Russia ha completamente distrutto 195 strutture mediche che è impossibile recuperare, altre 1.497 sono state danneggiate. Stessa situazione per le ambulanze: 253 distrutte, 103 danneggiate, 125 sequestrate. Inoltre, tra la gente si registra una pericolosa perdita di contatto con il sistema sanitario, mentre aumenta il rischio di malnutrizione e di diffusione di malattie infettive. C'è anche un’altra questione: ogni esplosione, ogni attacco avrà sicuramente un impatto sull'ambiente. Un ulteriore problema è, poi, quello della salute mentale.
Maggiore carico di lavoro per i medici
Di questo abbiamo parlato con il primario dell’ospedale distrettuale di Liubashivka, nella regione di Odesa, il chirurgo Dmytro Fomin. Prima della guerra, l’ospedale forniva assistenza a 40 mila persone del distretto, un quarto delle quali ha lasciato le proprie case a causa della guerra: al loro posto sono arrivati gli sfollati, fuggiti dalle zone più colpite. "Il carico di lavoro dell’ospedale è aumentato notevolmente a causa della mancanza di fondi. Ciò rende impossibile fornire un'assistenza adeguata", dice il primario. E racconta che adesso la struttura vive dei propri risparmi e di donazioni benefiche. Ai donatori l’ospedale chiede non tanto il denaro, quanto piuttosto i medicinali e le attrezzature. “Per esempio, ora abbiamo bisogno di un'ambulanza - sottolinea - perché la nostra è vecchia e il sistema di riscaldamento non funziona. Io come chirurgo, per lavorare meglio, avrei bisogno di attrezzature, come, ad esempio, un arco, portatile radiologico a C. Abbiamo bisogno di una nuova macchina a raggi X, perché la nostra ha trent'anni. Ci serve anche il materiale per medicazioni, di soluzioni per infusioni, insomma, tutto ciò che serve in terapia intensiva. Non i farmaci in pastiglie, perché li abbiamo. Ci serve anche il materiale per intubazione e rianimazione, ne anno bisogno anche i pazienti colpiti da ictus. Perché anche se vediamo che la vita di una persona è appesa a un filo, comunque lottiamo fino all'ultimo per salvarla, e per questo dobbiamo avere a disposizione il necessario”.
"Ci sono anche ritardi nel pagamento dei salari al personale, però non fa niente, li supereremo", spiega ancora il medico, aggiungendo che all’inizio della guerra, quando la linea di fronte passava a 70 km da loro, si stava molto peggio: si sentivano le esplosioni e loro non sapevano cosa sarebbe successo il giorno dopo. "Ora qui la situazione non è così difficile perché la notte posso almeno andare a letto e riposare davvero, e non devo alzarmi per correre nel rifugio".
Nell’ospedale con 140 posti letto lavorano 200 persone, delle quali solo tre (due medici e un’infermiera) hanno lasciato il lavoro e sono partiti. "Il carico di lavoro è aumentato molto sia dal punto di vista fisico sia psicologico», racconta il medico. "Dal punto di vista fisico, perché le persone che si rivolgono a noi sono molto trascurate. Il numero di pazienti oncologici e cronici è aumentato drasticamente. A causa della mancanza di denaro, una persona deve scegliere tra le medicine e il cibo, tra l’acqua e le bollette da pagare, e quando ha qualche sintomo preferisce prendere un antidolorifico e pensare che 'forse passerà'. Ci sono anche molti più casi di ictus perché - prosegue il dottor Fomin – le persone mangiano male, vivono sotto continuo stress: quasi in ogni famiglia qualcuno combatte al fronte. Anche il carico psicologico sui medici – aggiunge – è aumentato, perché la gente è molto irritata. Se sei un medico e ricevi una persona, che tu lo voglia o no, devi ascoltarla. Non sempre le persone vengono perché hanno qualche problema di salute fisica, ma di solito è la loro anima a soffrire di più, e il medico, in quel momento, diventa per loro uno psicologo. Oggi è molto difficile imparare a guarire con la parola, ma è proprio necessario".
Aiutare gli altri diventa una risorsa
A sottolineare l'importanza di curare con le parole è anche padre Roman Montetskyi, sacerdote dell'Esarcato di Odesa della Chiesa greco-cattolica ucraina, cappellano e psicologo dell’ospedale di Liubashivka. Don Roman riferisce che, nonostante l'urgente bisogno di supporto, la consulenza psicologica non è ben vista nei piccoli centri. "La maggior parte delle persone – spiega – si conosce e andare da uno psicologo significa ammettere di essere 'diverso' dagli altri. La gente si rivolge a me soprattutto quando ci sono già alcune manifestazioni fisiche, quando non ce la fa più". Il cappellano afferma che molti ucraini trovano il sostegno in famiglia, altri nella fede e altri ancora nel volontariato. Don Roman dice che per coloro che sono appena riusciti a sfuggire alla morte, a volte la semplice consapevolezza dell'importanza della vita aiuta. "Spesso parlo alle persone dell’importanza di trovare un senso, cioè di saper guardare un po’ avanti, nel futuro. Parlo anche della ricerca di valori. Naturalmente, ai genitori aiuta molto pensare ai loro figli. Per chi ha il sostegno della famiglia e di una comunità è più facile affrontare tutto questo. Dico sempre alle presone: 'Parlatevi, piangete insieme, incontratevi', perché la comunità umana - e in questo caso quella cristiana - è una fonte illimitata di risorse".
Il sacerdote greco-cattolico confida che riesce ad aiutare le persone che soffrono anche perché lui stesso ha vissuto il dolore della lontananza della propria famiglia: per sfuggire dal continuo pericolo, sua moglie e due figli si sono trasferiti in Polonia. “Anche il consueto stile di vita tradizionale che esisteva prima della guerra, è andato perduto. Quindi, come si dice in psicologia, era necessario integrarlo, viverlo. Solo più tardi sono apparse delle risorse per fare qualcosa, perché è chiaro che il vuoto rimane dentro, ma quel vuoto può essere riempito o colmato in modi diversi. Fare qualcosa per gli altri porta sollievo sia a te che alla persona che stai aiutando, quindi è reciproco. Non posso dire di aver completamente superato questa sfida, sto ancora nel processo. Però, come spiegava Jung con il suo concetto di 'guaritore ferito', chi ha provato il dolore, sa e può aiutare gli altri a guarire".
La guerra su larga scala in Ucraina dura da quasi due anni. Molte persone lamentano stanchezza ed esaurimento. "Durante una riunione – racconta ancora lo psicologo – la gente mi ha chiesto: 'Cosa dobbiamo fare? Dicono che la guerra durerà altri tre, cinque, dieci anni... Versioni diverse'. Ho risposto: 'Dobbiamo adattarci'. Come scrisse Viktor Frankl a proposito dei campi di concentramento, che i primi a crollare sono stati quelli che pensavano che sarebbe finita in fretta, poi quelli che pensavano che non sarebbe mai finita. E solo coloro che riuscivano a vivere nel presente, sono sopravvissuti. È molto difficile perché quelle che erano risorse tradizionali, come, per esempio, la famiglia, spesso vengono meno. Ecco perché il ruolo del sacerdote e dello psicologo è molto importante: anche se non fa consuleiglia nessuno, ma semplicemente va al negozio, sorride alle persone per strada, parla un po' con loro – questa è una testimonianza e un segno di speranza".
I cappellani ospedalieri, grande supporto per gli ospedali e i malati
Oltre a don Roman, nell’Esarcato di Odesa, che copre le regioni di Odesa, Mykolaiv, Kirovohrad e Kherson, lavorano altri dieci cappellani ospedalieri. Don Oleksandr Bilskyi, responsabile della Commissione per la pastorale della salute, racconta che grazie anche al sostegno di vari sponsor loro riescono a fornire agli ospedali medicinali e attrezzature. "I nostri maggiori sostenitori sono i Cavalieri di Colombo", afferma. "Ringraziamo Dio di avere questi amici che ci aiutano a servire gli ospedali, prima di tutto con la Parola di Dio, ma anche con un aiuto concreto: cerchiamo di fare in modo che ogni volta che un nostro cappellano si reca in un ospedale abbia qualcosa da portare ai pazienti".
Grazie al sostegno di Cavalieri di Colombo, la Commissione per la pastorale della salute sta realizzando un altro importante progetto: in quattro ospedali stanno preparando l'apertura di cappelle che saranno utilizzate anche come centri di consulenza spirituale e psicologica. “Perché non sempre una persona che non è molto credente riesce a venire in chiesa – spiega don Oleksandr – perché forse ha dei pregiudizi, o semplicemente nessuno le ha trasmesso l'amore per la Chiesa. Capita che, purtroppo, si rechino più spesso nelle strutture mediche, e quando vengono a conoscenza di alcuni problemi di salute, nel loro dolore, nella loro disperazione, a volte sono così confusi da non sapere cosa fare. E più di una volta noi, i cappellani, sentiamo parole di gratitudine: le persone dicono che è stata una semplice conversazione con un sacerdote a salvarli, a farli stare meglio e continuare la loro vita”.
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