Il premio Internazionale Santa Rita a tre donne custodi di vita e futuro
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
“In questo 8 marzo, tra bilanci di morte e un clima di grande sfiducia, celebriamo le donne che sono culle di vita e ali di speranza”. L’invito giunge dalla badessa del Monastero Santa Rita da Cascia, madre Maria Rosa Bernardinis, che, in occasione della Giornata Internazionale della Donna, presenta le tre donne alle quali verrà conferito il Riconoscimento Internazionale Santa Rita 2024: Cristina Fazzi, Virginia Campanile e Anna Jabbour. “Terreni fertili e custodi di vita e futuro”, le definisce la religiosa, che vivono nella quotidianità i valori ritiani. Sono storie di solidarietà, di perdono e di fede quelle delle tre donne di Rita, che condivideranno le loro testimonianze il 20 maggio, alle ore 10, nella Sala della Pace del Santuario di Santa Rita a Cascia, e che riceveranno il Riconoscimento il giorno dopo, alle 17.30, nella Basilica che custodisce le spoglie della santa dei casi impossibili. Se oggi si parla tanto di intelligenza artificiale, in realtà occorre “riscoprire e allenare una intelligenza materna - afferma la religiosa agostiniana - più tipica ma non esclusiva delle donne” e “che chiama ogni essere umano al coraggio, alla gioia e alla speranza della vita”, per ritrovare fiducia nel domani.
Una siciliana nello Zambia
Cristina Fazzi, siciliana, medico, da 24 anni, è impegnata nello Zambia in aree di estrema povertà, con un’attenzione speciale ai bambini e ai giovani. Nel Paese africano ha creato il primo centro di salute mentale per minori e attraverso l’associazione umanitaria “Twafwane”, da lei stessa fondata, ha elaborato progetti formativi per generare opportunità di cambiamento e realizzazione. Mamma di un ragazzo adottato e di altri 7 bambini avuti in affido, Cristina, nella vita quotidiana, trae ispirazione anche da Santa Rita, di cui apprezza il lato umano e la sua capacità di perdonare.
Un perdono fruttuoso
Virginia Campanile, di Otranto, ha perso il figlio in un incidente stradale, grazie al perdono offerto a chi ne ha causato la morte ha trasformato il suo dolore in un investimento nel sociale, coinvolgendo altre madri come lei. Con l’associazione “Figli in Paradiso, ali tra cielo e terra” ha dato vita a 120 gruppi, in Italia e in Spagna, dove tenta di offrire un’alternativa a quel dolore che lei descrive come “inconsolabile, ingestibile, inguaribile” di chi perde un figlio. Grazie alla stessa associazione, ha inoltre fatto costruire una scuola in Africa e tre pozzi in Etiopia, ha offerto aiuti al reparto neonatale dell’ospedale Vito Fazzi di Lecce. Oltre alle diverse attività alle quali si dedica, ha avviato un progetto di prevenzione al suicidio per ragazzi e incontra i giovani nelle scuole.
La maternità universale di una donna siriana
Siriana di Aleppo, Anna Jabbour divideva la sua vita tra parrocchia e lavoro, fino a quando nel suo Paese è scoppiata la guerra, nel 2011. Ha sposato il fidanzato Subhi sotto i bombardamenti e nel 2016, con una gravidanza da portare a termine, ha dovuto abbandonare la sua casa, partorendo, poi, sotto le bombe. Lasciata la sua terra, ha trascorso qualche anno in Libano e nel Natale del 2020, grazie alla Comunità di Sant’Egidio, è giunta in Italia. Oggi vive a Roma col marito e la figlia e a darle forza sono anche la fede e la devozione a Santa Rita. Nel suo cammino di vita, ha maturato la consapevolezza di una “maternità universale” e la sua vocazione quotidiana è di investire su una “nuova umanità” per dare alla figlia e a tutti i bambini del mondo un’opportunità di crescita, basata sulla fede e sulla fratellanza.
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