"Due uomini di pace", al Salone del Libro omaggio a La Pira e Bettazzi
Antonella Palermo - Inviata a Torino
Due uomini di pace che hanno insegnato la pace: Giorgio La Pira, è stato docente di diritto romano, tra i principali artefici della Carta Costituzionale, per tre volte sindaco di Firenze e il vescovo Luigi Bettazzi, scomparso nemmeno un anno fa. Sono stati ricordati oggi, 13 maggio, al Salone del Libro, rispettivamente dall'Abate di San Miniato al Monte, padre Bernardo Gianni, e dal sociologo delle religioni Franco Garelli. Entrambi molto legati a queste figure e alla loro eredità umana e spirituale.
Tornare ad ascoltare la città
Usa alcuni versi di Mario Luzi su La Pira, padre Gianni, per il suo omaggio a colui che si adoperò una vita per far sì che Firenze fosse polmone di coscienza sociale esposto sì alla disgregazione ma anche alla speranza di pace. Un uomo capace di innervare dal basso e attraverso le istituzioni quella fraternità trasversale, inclusiva di cui oggi c'è estremo bisogno. "Esistono i tempi della grazia ma esiste anche la geografia della grazia", afferma il religioso che parla di uno sguardo abitato e anche lacerato dalla fede che ha animato La Pira. Evidenziata la sua potenza profetica che richiamava a un senso di altissima responsabilità degli organismi politici e che considerava "la città terrena anticipatrice della città futura, spirituale". La Pira, secondo padre Bernardo, ha impresso con la sua testimonianza "una conversione di metodo, di stile" nell'attitudine all'ascolto della città. "Bisogna tornare ad ascoltare la città", ha insistito l'abate. Pur subendo "una rappresaglia di critiche da parte delle sinistre e delle destre - ha rammendato Gianni - La Pira ha ostinatamente voluto sperare contro ogni speranza". Guardando alle guerre che infiammano il mondo, l'abate scandisce: "Non c’è futuro se lasciamo che la rivendicazione delle armi si sostituisca a quella del dialogo. Occorre diventare, con uno sforzo di umiltà, uomini e donne che disinnescano questa ineluttabilità. Ben vengano dunque le mobilitazioni per la pace e ogni tipo di gesto in questa direzione nella consapevolezza che non c’è altra via. L’inquietudine di La Pira ha introdotto un vento di novità che non possiamo disperdere".
La Pira, sguardo profetico lacerato dalla fede
A Radio Vaticana - Vatican News, l'abate Bernardo Gianni entra ancora più nel vivo dell'urgenza di manifestare per la pace e di farlo proprio alla luce degli insegnamenti di La Pira: "Credo che la prima manifestazione sia la conversione dei nostri cuori. Il primato assegnato da La Pira alla Parola di Dio, alla profezia, implica una sua ricezione resa possibile nella misura in cui le facciamo spazio. Poi, bisogna cercare di sperimentare nell’aggregazione tutta quella mobilitazione di popolo che, come è successo nella storia, è sotto ispirazione dello Spirito. La Pira in questo senso ha fornito esempi importantissimi", sottolinea padre Gianni, esortando ciascuno a segnalare al mondo che "quella che siamo abituati con rassegnazione a chiamare utopia è in realtà una eutopia", ovvero uno scenario bello e possibile, realizzabile se "alla violenza delle armi si sostituisce la ragionevolezza, l’intelligenza della parola, dell’ascolto, del dialogo, in una concertazione che tenga insieme pace, giustizia e libertà, ingredienti per La Pira di un’età nuova che l’umanità e il popolo non solo può ma deve manifestare come priorità assoluta nell’agenda del suo futuro".
Il religioso di Firenze si compiace che ci siano nuove generazioni sensibili a questi temi, e aggiunge che "purtroppo la si dà per scontata da noi la pace, e a volte si assiste al suo contrario con una partecipazione fredda come può essere un gioco di PlayStation". È l'occasione anche per precisare che i tentativi di soffocare le manifestazioni, quando ci sono, rientrano "in un generale clima di rispetto scarso per la delicatezza della vita e della libertà: è cultura di violenza reprimere con i manganelli, ferire e uccidere le ragazze, è cultura di violenza distruggere una città per estirpare il terrorismo", arriva a dire. E chiosa: "Credo che ci sia bisogno ancora una volta di una rivoluzione culturale e spirituale. La parola rende molto bene il metabolismo pasquale di cui abbiamo bisogno per far spazio al futuro".
Bettazzi, oltre un pacifismo ingenuo
Al sociologo Garelli è affidato il compito di ricordare monsignor Bettazzi. Lo fa sulla base anche dei numerosi incontri avuti con il compianto presule, "uomo di azione ma anche di riflessione, non clericale che aveva il dono di comunicare la sua passione. Sempre poroso sui temi sociali, della pace, del suo radicamento in Cristo. Un vescovo - osserva - un po’... laico". Garelli ricorda il suo impegno in Pax Christi, di cui fu amico tutta la vita e presidente dal 1978 all'85. Bettazzi fu "un prete molto in ricerca, persona ricca di fecondità per la Chiesa, capace tuttavia di riflettere sui limiti di un pacifismo ingenuo". Viene sottolineato come per il vescovo di Ivrea non bastava invocare la pace nell’ora dei conflitti e neppure predicare la non violenza quando nemmeno si sa di cosa si tratta. "Ascoltare le ragioni di tutti - continua Garelli ricordando il pensiero di Bettazzi - e individuare i condizionamenti che gravano su tutti, compresi i fenomeni economici e culturali che stanno alla base dei conflitti".
La Chiesa riviva l'investimento di Bettazzi sui giovani
Cosa è rimasto del fermento di quell'epoca? "Senz’altro ha degli eredi quella generazione - spiega il sociologo - ma oggi purtroppo la Chiesa si fa un po’ troppo contagiare dall’epoca delle passioni tristi". Rammentando i tre binari principali su cui si è snodato l'impegno ecclesiale e sociale di Bettazzi (la Fuci, la pace, il Vaticano II), Garelli afferma che il Concilio è stata un’esperienza davvero comunitaria per lui e che l'aspetto del fare rete sarebbe da riattualizzare. "Bettazzi è l’espressione di un periodo in cui la Chiesa ha investito molto sui giovani", insiste Franco Garelli a Radio Vaticana - Vatican News, convinto che siamo in una società complessa e che la stessa complessità invece di creare una reazione induce a ripiegare su slogan facili. "E i giovani stessi lo hanno formato. Rileggendo la sua storia, i giovani erano la primavera. O si riprende questo ampio respiro - scandisce il sociologo - o la Chiesa patisce. Bisognerebbe investire più energie per rendere questo nucleo giovanile impegnato seriamente, giovani senza mire di proselitismo ma che diventino realmente un punto di riferimento sociale".
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