Missionari della Consolata, a Torino il CAM scommette su laici e cultura
Antonella Palermo - Torino
Valorizzare le ampie collezioni dell’Istituto dei Missionari della Consolata, costituito da esperienze e reperti antropologici-etnografici raccolti in 29 Paesi del mondo da più di un secolo, e la ricerca di un nuovo modo di fare missione in Europa. Questi gli obiettivi che hanno animato nella Casa Madre a Torino la nascita, un anno fa, dello spazio “Cultures And Mission” (CAM) appena ampliato di una nuova sezione che ospiterà mostre temporanee e dove la settimana scorsa si è inaugurata “Mater Amazonia”, versione ridotta di quella grande esposizione allestita nei Musei Vaticani nel 2019-2020.
Urihi, la casa della terra
"Un piccolo passo verso una sempre maggiore inclusione": così padre Gianni Treglia, superiore per l'Europa dell'Istituto Missioni Consolata, ha definito il CAM all'apertura della Sala Mostre Temporanee “Urihi. La casa della terra”. Un'occasione per presentare alla città anche gli strumenti di accessibilità realizzati grazie al finanziamento NextGenerationEU, e per ammirare le opere vincitrici del contest artistico organizzato insieme all’associazione Galfer20 nell’ambito di “Hoping together: l’esperienza”, l’attività espositiva portata avanti dall’agosto 2023 al gennaio 2024. "L’attenzione alle sorelle e ai fratelli con una piccola o grande difficoltà - ha aggiunto Treglia - la possibilità di far sì che si sentano ospiti desiderati e attesi, il desiderio che questo impegno sia visto e condiviso anche da altri… è quello che ci proponiamo e che speriamo si realizzi". Anche monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino, si è mostrato compiaciuto di questo polo: "Mi sembra possa essere una realtà davvero attrattiva per i giovani perché qui scopriranno che i temi a cui loro tengono (mondalità, capacità di essere fratelli, custodia del creato...) sono dei temi fondamentali arricchiti dall’esperienza grandissima dei missionari". Del resto, "la fraternità la si costruisce incontrandosi", sottolinea padre Stefano Camerlengo, già superiore generale dell'Istituto, cosa tanto più necessaria "in un mondo che con tanta autoreferenzialità ci sta fagocitando". Il team responsabile del CAM è costituito dal sardo padre Fabio Malesa, dal cuneese padre Piero De Maria, dal keniano padre John Nkinga. De Maria, con all'attivo missioni in Mozambico e Taiwan, spera molto in un’attenzione per le scuole: "Abbiamo già avviato la formazione con alcuni insegnanti per condurre laboratori. La musica, per esempio, crea capacità di ascolto e comunità. E poi ci impegneremo a creare rete con l’associazionismo locale per aprire il nostro cuore e mettere il nostro cuore nel mondo".
Il CAM: arte, cultura e missione in uno spazio accessibile
Ad accompagnare nella visita è padre Malesa, per dodici anni in Mozambico dove ha respirato una grande senso di Chiesa nella collaborazione con i laici "che dice molto al nostro camminare insieme nella direzione della sinodalità". Ci conduce in quello che è uno spazio dedicato al dialogo e alla conoscenza delle civiltà e dei popoli: 1.200 metri quadrati con un percorso espositivo di 300 metri quadrati, progetto formativo della Fondazione Missioni Consolata onlus, per sensibilizzare la città e i giovani sui temi della pace, della giustizia, della cura della casa comune. È il frutto di una sinergia di collaborazioni - Regione Piemonte, Mediacor (la società che ha realizzato una narrazione multimediale immersiva), Fondazione Paideia (per lo sviluppo di supporti in simboli CAA - Comunicazione Aumentativa Alternativa) che ne rende possibile la fruizione anche a persone che soffrono delle patologie dello spettro autistico per porsi come punto di riferimento del territorio in cui la spiritualità innerva ogni tessuto relazionale e culturale. In questo anno di attività la risposta della collettività è stata entusiastica e questo ha incoraggiato la squadra che guida quest'opera corale (quattro italiani, due tanzianiani, un keniano, un mozambicano) che si avvalgono dell'apporto di architetti, educatori, scrittori. Un lavoro che stimola tutti i sensi, capace di sfruttare tutte le potenzialità e il carisma di questa famiglia di consacrati per la missione Ad Gentes fondata dal Beato Giuseppe Allamano e che conta attualmente un migliaio (tra padri e fratelli) di persone con un ramo femminile di 600 suore presenti in 33 Paesi (Europa, Americhe, Africa e Asia).
Promuovere inclusione, pace e dialogo tra le fedi
Diecimila pezzi, tra animali imbalsamati, volatili, insetti, farfalle, minerali, reperti archeologici soprattutto da Africa e America Latina; un milione di fotografie con 23mila lastre fotografiche dei primi anni del '900 realizzate dai missionari che lavoravano in Kenya; 1200 pellicole cinematografiche in fase di digitalizzazione; un migliaio di cartine geografiche fatte a mano dai missionari stessi; 200 grammatiche e dizionari di lingue delle diverse etnie e circa 900 diari, attualmente nell'archivio generale dell'Istituto a Roma. Un patrimonio enorme che con l'ammodernamento che offre il CAM potrà godere della giusta valorizzazione. L'acronimo CAM, che si adatta bene anche alla denominazione originaria del luogo in cui nasce e si sviluppa (Centro di Animazione Missionaria), ha trovato la sua espressione simbolica nel logo che accoglie il visitatore e in cui c'è condensata l'idea dell'abbraccio, della maschera indigena, della croce, del volto. L'intero polo culturale si snoda su più piani: da uno spazio accoglienza dove poter cucinare e condividere il pasto, all'aula magna per presentazioni e conferenze, dalla sala mostre permanenti con un percorso planetario attraverso i reperti più significativi ai laboratori con spazi per bambini, oratori per giovani, sale per i più adulti. Prezioso è poi lo spazio meditazione: una sala versatile che può essere sfruttata per ogni tipo di preghiera e aperta dunque alle diverse fedi.
Un luogo per osservare come cambia la missione
Il CAM è dunque una possibilità concreta per esplorare le terre di missione degli antichi evangelizzatori, ma anche un modo di ri-evangelizzare le terre di più antica evangelizzazione. Una andata e ritorno, per così dire, se si considera che oggi numerosissime le persone di altri Paesi che sostengono in Italia l'opera di diffusione del Vangelo in parrocchie e istituti. Gli oggetti esposti non vogliono essere solo "colore", folklore: sono via di accesso a mondi sconosciuti e permettono di relativizzare l'eurocentrismo, di dare profondità e molteplicità di senso a maschere o utensili. Il primo nucleo museale va rintracciato nel lavoro di catalogazione svolto con ciò che era stato salvato dalla Seconda Guerra mondiale. A metà del '900 il materiale cominciò una mostra itinerante, poi si pensò a un programma di mostre permanenti con una sempre maggiore sistematicità e scientificità nella raccolta dei materiali. Via via si impose una razionalizzazione degli ambienti della Casa Madre (enorme edificio utilizzato dal governo italiano come ospedale militare ai tempo della Guerra) fino ad arrivare alla configurazione odierna distinta in due macro-sezioni: il museo vero e proprio per l'interesse e lo studio da parte degli addetti ai lavori, e le sale aperte al pubblico. Il padre Gigi Anataloni, direttore dell'archivio fotografico e audiovisivo del CAM, nonché direttore della rivista Missioni Consolata, parla di diecimila fotografie storiche scansionate, un lavoro titanico.
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