Zuppi: la Chiesa italiana sia come quella dei primi cristiani
di Charles de Pechpeyrou
Il cammino sinodale in atto, le questioni economiche e sociali in Italia, il rapporto tra Chiesa e cultura sono stati i temi principali affrontati dal cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), nella sua Introduzione, pronunciata stamattina davanti ai partecipanti all’Assemblea generale, apertasi ieri in Vaticano. L’arcivescovo di Bologna ha anche auspicato che quella italiana sia una Chiesa della Pentecoste, in grado di «compiere i prodigi della prima generazione cristiana». Il porporato ha sottolineato inoltre che le visite Ad Limina compiute in questi ultimi mesi dai vescovi italiani in Vaticano «sono state occasioni per ravvivare la nostra comunione e, per il Papa, di partecipare alla nostra missione».
Nella parte del suo discorso dedicata alla Pentecoste appena passata, quindi, il cardinale Zuppi ha notato che «viviamo in una Babele segnata da tanta sofferenza, dalle ombre di guerre che non si fermano e paralizzano nella paura (...) Quanta sofferenza a non sapere guardare “in alto”, unica condizione per vedere lontano, per non restare prigionieri dei labirinti dell’individualismo, dove risuonano voci vuote e mancano una direzione e la speranza. Di fatto, l’onnipotenza dell’individualismo produce solo fragilità e chiusure, rivelando quanto abbiamo bisogno del “noi” e di quel Tu che è Dio». In questo contesto la Chiesa italiana cerca ovunque «di ricostruire la comunità, nell’accoglienza e nella fraternità intorno al Signore che ne è al centro, garanzia di amore gratuito». Con la grazia del Signore, ha dichiarato il presidente della Cei, «possiamo ancora compiere i prodigi della prima generazione cristiana nella nostra modestia personale, ma anche nella grandezza e nella forza del suo amore».
Parlando poi del Sinodo italiano, il cardinale Zuppi ha indicato che le sintesi raccolte dalle Chiese locali nel percorso sinodale «sono la testimonianza di una vivacità che si esprime nel cammino, nello stare insieme e nel vivere la comunità in modo aperto». «Sono racconti — ha aggiunto — nei quali ha agito lo Spirito santo segnalando le dimensioni prioritarie per rimettere in moto alcuni processi, per compiere scelte coraggiose, per tornare ad annunciare la profezia del Vangelo, per essere discepoli missionari». «Ora — ha proseguito l’arcivescovo di Bologna — vivremo l’ultima tappa dedicata alla profezia (...) Cerchiamo dunque di tradurre in scelte e decisioni evangeliche quanto raccolto in questi anni». «L’invito del Papa è molto chiaro — ha detto — dobbiamo continuare ad accompagnare con paternità e amorevolezza il cammino intrapreso, sentendo la responsabilità delle decisioni che ci attendono. È il nostro compito in particolare nelle due Assemblee sinodali in programma a novembre e a marzo 2025».
Gran parte dell’Introduzione è stata dedicata anche alla realtà italiana, con un invito a leggere «i segni dei tempi, a iniziare dai poveri, per capirne le domande e trarre sempre nuovi motivi per amare». Lo stato di salute dell’Italia «desta particolare preoccupazione», ha sottolineato il presidente della Cei: «È sempre più difficile uscire dall’abisso dell’indigenza. Si rafforzano le povertà croniche e quelle intermittenti, relative ai nuclei familiari che oscillano tra il “dentro” e il “fuori” dalla condizione di bisogno. Si rafforza inoltre il divario generazionale: i giovani sono sempre più esposti a difficoltà economiche». Per l’arcivescovo di Bologna è pertanto «necessario promuovere azioni solidali e definire, con urgenza, soluzioni inclusive e realmente incisive, in grado di rafforzare il senso di comunità e di reciproca cura, affinché nessuno sia tagliato fuori o venga lasciato indietro». Particolare attenzione va rivolta alle aree interne del Paese, «che restano oggetto di tanta preoccupazione della Chiesa».
«Per non perdere vitalità e capacità comunicativa — ha ammonito Zuppi — la Chiesa deve fare i conti con la cultura nel suo insieme, prendendo in considerazione tanto le élite intellettuali laiche che la dominante cultura di massa». Infatti, «senza rapporti con il mondo della cultura, la Chiesa perde anche il contatto con il mondo sociale, oggi molto più estesamente scolarizzato e acculturato di quanto fosse nella prima metà del secolo scorso». «Una Chiesa che non sia militanza e immaginazione culturale soffre di una colpevole, grave mancanza e omissione: non rende vivo e attuale il messaggio cristiano», ha avvertito il presidente della Cei.
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