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Don Petro Mandzyak durante la sua ordinazione sacerdotale Don Petro Mandzyak durante la sua ordinazione sacerdotale  

Ucraina, dalle trincee all’altare: storia di un prete fiorito fra le bombe

Don Petro Mandzyak, sacerdote greco-cattolico e parroco nell’Eparchia di Stryi in Ucraina dell’ovest, dopo l’invasione russa ha combattuto come volontario per poi seguire la chiamata che aveva nel cuore: “Seguo le famiglie che hanno perso un loro caro in guerra, nonostante missili continuiamo ad amare”

Svitlana Dukhovych - Città del Vaticano

«È stato Dio a donarci queste persone nella nostra vita. Il fatto che fosse stato vostro marito o figlio è il suo dono. Ma fin dall'inizio questi uomini appartenevano a Dio. Loro hanno sentito e accolto la chiamata a difendere la patria e Dio li ha chiamati a sé». Con queste parole don Petro Mandzyak, sacerdote greco-cattolico e parroco nell’Eparchia di Stryi in Ucraina dell’ovest, si rivolge alle famiglie che hanno perso i propri cari nella guerra su larga scala che ormai da 28 mesi mette a dura prova il popolo ucraino. «Non è facile - riconosce don Petro - è davvero insopportabile sentiserlo dire, ma non c'è altra risposta». Ad aiutare il giovane parroco a trovare le parole giuste per consolare queste persone è la sua esperienza. Prima di diventare sacerdote, Petro ha passato un anno e mezzo al fronte nell’est del Paese. Lì ha perso tanti amici e anche lui stesso è stato ferito. È stata un’esperienza molto difficile però, al tempo stesso, trasformativa.

Un cristiano attivo

Petro Mandzyak, che adesso 33 anni, nel 2016 aveva terminato il seminario greco-cattolico di Lviv e nello stesso anno era giunto a Roma per il percorso di specializzazione alla Pontificia Accademia Alfonsiana. Dopo aver conseguito la licenza in teologia morale, nel 2019 torna in Ucraina dove si sposa e inizia a lavorare per un’azienda di spedizioni espresse. Nel febbraio del 2022, all’indomani dell’invasione russa dell’Ucraina, prima si unisce all’unità della difesa territoriale, poi nel giugno dello stesso anno decide di arruolarsi volontariamente nelle Forze armate. «Guardavo costantemente i telegiornali e vedevo come i russi sparavano ai civili», dice don Petro ricordando cosa l’abbia spinto ad andare al fronte. «Ti rendevi conto che, come uomo sano di corpo e mente, dovevi andare a difendere coloro che non potevano difendersi da soli. Io ho sempre cercato di essere un cittadino e un cristiano attivo. Ho sentito questa chiamata nel mio cuore e ho risposto. Non sono andato lì per uccidere, assolutamente no. Sono andato per difendere la vita».

Un momento dell'ordinazione sacerdotale don Petro Manzyak
Un momento dell'ordinazione sacerdotale don Petro Manzyak

Dopo un breve periodo di addestramento, Petro viene mandato al fronte all’interno di un’unità d’assalto. Partecipa alla battaglia per Soledar, nella regione di Donetsk, dove viene ferito nell’ottobre 2022. «In guerra - ricorda - ognuno può trovare ciò per cui è venuto. Se qualcuno è venuto con la paura, incontrerà lì quella paura lì. Se uno è venuto per vendicarsi, troverà sempre un'occasione per vendicarsi. Io, per esempio, sono venuto lì per portare pace e amore ai miei pobratymy (al singolare pobratym, in ucraino побратим, significa “compagno d’armi”, ma nella radice della parole c’è brat che significa “fratello” - ndr), volevo essere un sostegno per loro, la mano di Dio lì in guerra».

Crudeltà della guerra e prova di coraggio

La prova del suo sostegno ai pobratymy Petro ha potuto offrirla già nella sua prima battaglia nelle miniere di sale “Artemsil” a Soledar (occupata dai russi nel gennaio del 2023). A causa della forte prevalenza delle forze russe, sui 20 uomini della sua squadra 4 sono rimasti uccisi e 11 feriti. «La battaglia – rammenta don Mandzyak - è durata dalle 4 di mattina fino alle 19 di sera. Ricordo di aver portato dal campo di battaglia sulle spalle Andriy, uno dei soldati feriti. Quando sono arrivati tre infermieri, a fatica sono riusciti a metterlo nell’ambulanza, perché era un uomo robusto, alto quasi due metri. Andriy mi guardava stupito chiedendo: “Come ce l’hai fatta?”. Ho risposto: “Fratello, è tutto merito dell’adrenalina”. Quando sono tornato alla nostra postazione di comando, ho chiesto dove fossero gli altri. Mi hanno detto: “Sono rimasti a Soledar”». Nessuno dei soldati tornati dalla battaglia voleva tornarci perché era molto rischioso. Petro è riuscito a convincere alcuni di loro a seguirlo in città in cerca di sopravvissuti. Non sapevano dove si trovassero perché avevano perso il collegamento con loro. «Siamo entrati in un palazzo - racconta - poi in un secondo e ancora in un altro, ma non c’era nessuno. I ragazzi che sono venuti con me, hanno detto: “Noi non andiamo avanti”. Allora ho deciso di proseguire da solo: entrando nel quarto palazzo ho gridato il nome di uno dei soldati e lui è uscito. Guardandomi scioccato, ha chiesto: “Che ci fai qui?”. Con lui c’era un altro soldato che aveva gravi ferite alle gambe. L’abbiamo portato via e l’abbiamo fatto evacuare. Grazie a Dio, siamo riusciti a portare via tutti i nostri feriti». Sulla strada di ritorno dal Soledar, l’auto in cui si trovava anche Petro è stata colpita da una mina russa e lui è rimasto ferito.

Don Petro durante la cerimonia di ordinazione sacerdotale
Don Petro durante la cerimonia di ordinazione sacerdotale

L’esperienza di Dio al fronte

Nei momenti in cui rischiava la vita per i suoi pobratymy e quando è stato ferito don Petro pregava: «Dio, se hai bisogno di me, risparmia la mia vita. Metto tutto nelle tue mani». «Ed è questo - osserva - che vuol dire essere un cristiano: mettere tutto nelle mani di Dio. Se invece diciamo: “Aspetta, ci penso io”, allora vivremo secondo la logica terrena, che non è quella di Dio, e non lo incontreremo. Credetemi, Lui conosce esattamente tutti i nostri bisogni, i bisogni della nostra famiglia e tutto il resto. Affidare a Dio tutto significa accettare tutto come sua volontà, come suo dono, essergli grati sempre, qualunque cosa accada. Questo è ciò che ho scoperto per me stesso».

Guardare in faccia la morte ti fa cadere la maschera

Molti soldati ucraini raccontano che il campo di battaglia diventa il luogo dove incontrano Dio anche perché, come spiega don Petro, «la guerra ti fa cadere tutte le tue maschere». «Spesso nella vita indossiamo delle maschere per interpretare i diversi ruoli sociali e non riusciamo a incontrare Dio, perché cerchiamo di fare tutto il possibile per accontentare il mondo. Dio ci dice di non vivere per noi stessi. Cristo ci dice chiaramente che non vive per sé stesso, ma compie la vocazione che Dio gli ha dato. Me ne sono reso conto molto chiaramente al fronte: lì non puoi vivere per te stesso, perché altrimenti la guerra non ti considererà. Devi vivere in nome di qualcosa e per qualcuno. E, in effetti, lì si scopre un incontro molto vivo con Dio, perché non si hanno più tutte le “cose” che si hanno qui nella vita. Per esempio, dopo essere diventato sacerdote, qualcuno potrebbe pensare: “Sono molto rispettato. Sono qualcuno”. Al fronte uno è semplicemente ciò che è perché sei di fronte alla morte e non c'è nessuno per chi “interpretare” un ruolo. Accade così, si incontra Dio in una sorta di completa nudità, spogliati di tutti i vari strati sociali. E non solo in guerra, ma anche in molte sofferenze, dolori, prove. Perché capiamo che non contiamo né noi, né il nostro status sociale: c'è solo Dio, c'è solo l'eternità. Tutto il resto è un'illusione. Questo è particolarmente evidente in guerra».

In trincea non ci sono gli atei

Riflettendo ancora su come cambia la fede in prima linea, l’ex militare ricorda un suo pobratym di nome Ghena di Kyiv che all’inizio si dichiarava ateo. «Una volta, dopo una battaglia molto pesante, Ghena è venuto da me dicendomi: “Sai, questo mio ateismo non serve a nulla. Mentre stavo lì in trincea, cercavo di ricordarmi qualche preghiera che mia nonna mi ha insegnato quando ero piccolo”. C'è un detto che dice che “in una trincea non ci sono i non credenti”: è una santa verità. Vedete, qui si è vicini alla morte e lo noto anche ora da sacerdote: quando le persone si confessano prima della morte, vedono chiaramente quale è il senso della vita, capiscono che gli rimane solo quello che porteranno con sé».

Il percorso per diventare sacerdote

Dopo essere stato ferito vicino al Soledar, Petro Mandzyak per un certo periodo ha dovuto seguire un percorso di guarigione. Sulla propria pelle lui ha vissuto quello che spesso succede con le persone che tornano dal fronte: le emozioni e i sentimenti repressi e congelati (ricordi delle battaglie, perdite degli amici ecc.) si trasformano in una vera e propria valanga che non è facile gestire. «Riflettendo su tutto ciò - continua il sacerdote - ho capito che al fronte mancano i cappellani per aiutare i ragazzi ad affrontare questi problemi e ho deciso di fare la domanda per diventare sacerdote». Dopo aver ricevuto le dimissioni dal servizio militare, nel dicembre del 2023 riceve l’ordinazione sacerdotale nell’eparchia greco-cattolica di Stryi, nella Metropolia di Lviv. Il vescovo locale decide di affidare a don Petro due piccole parrocchie per dargli la possibilità di recuperare le forze e di abituarsi al servizio sacerdotale.

Sostegno delle famiglie che hanno perso i propri cari

Oltre all’attività del parroco, don Petro ha deciso di offrire il sostegno ai familiari delle persone che sono cadute al fronte. Con l’aiuto dei suoi parrocchiani, il sacerdote fa dei video in cui riprende le sue conversazioni con queste famiglie. Il sacerdote dice che loro si fidano di lui anche perché sanno che lui da militare ha fatto la stessa esperienza dei loro cari. Questa esperienza aiuta il giovane parroco a trovare le le parole e l’atteggiamento giusti per consolare e per dare il necessario sostegno. «Per tante di queste famiglie – afferma - anche parlare davanti alla camera aiuta a elaborare il dolore della perdita, perché così lo condividono con tante persone e non rimangono chiusi in se stessi».

La perdita delle persone care per Petro è un’esperienza vissuta in prima persona: da giovane ha perso suo fratello morto in un incidente stradale e in guerra ha perso tanti pobratymy che hanno dato la prova della loro lealtà nei momenti più critici. «Il vero pobratym non si preoccupa di se stesso, ma dell’altro. Pobratym è uno che ti apre le stanze segrete del suo cuore e che conosce tutti i tuoi bisogni senza che tu lo verbalizzi. Cioè, è una persona che ti sente a un certo livello emotivo. Le persone del genere mi mancano terribilmente qui nella mia vita tranquilla. Ne avevo tanti pobratymy così. Purtroppo, molti di loro sono già morti. Tuttavia, come cristiano, credo che dopo la fine della mia vita terrena incontrerò quei grandi eroi. E questo pensiero mi rafforza».

Il compito di consolare

Non è un compito facile consolare le persone che piangono i propri cari. Quello che don Petro ha da offrirgli e la fede consolidata nel proprio dolore: «È Dio che porta una persona a sé, Lui sa tutto, capisce tutto. La nostra principale vocazione qui in questa vita è quella di superare la prova, perché l'unica realtà che esiste è davvero l'eternità e tutto ciò che è qui è effimero, a un certo punto non avrà più valore. Non ha valore in ogni caso, ma purtroppo qualcuno ne fa un valore, creandosi degli idoli. Io offro tutto a Dio e non cerco di “giustificarlo”. Quando i ragazzi al fronte mi chiedevano: “Dov'è il tuo Dio?”, io rispondevo loro: “Ragazzi, io sono qui. Cioè, Dio è in ognuno di noi. Dio è qui”. Quando registriamo le interviste con le famiglie dei soldati caduti, io dico loro: “È Dio che ci dona queste persone nella nostra vita. Il fatto che fosse vostro marito o vostro figlio è un dono di Dio. Ma fin dall'inizio, quest’uomo apparteneva a Dio e loro hanno sentito la chiamata di difendere la patria, sono antati a difenderla e Dio li ha riportati a casa Sua”. Non è facile, è davvero insopportabile sentirlo dire, ma non c'è altra risposta».

“Continuiamo ad amare”

Don Petro Mandzyak ringrazia tutti quelli che sostengono gli ucraini in questo periodo di grande prova: «Voglio dire a tutti gli italiani e al resto del mondo che gli vogliamo molto bene. Siamo diventati uno scudo per loro e capisco che non sia percepito in questo modo, perché qui nelle città dell’Ucraina dell’ovest la guerra non è sentita e in Europa lo è ancora di meno: non si sentono allarmi antiaereo, non cadono i missili. Ma credetemi, la guerra è in corso ed è terribilmente crudele. E questo nemico che ora ci sta contro, è terribilmente cinico e crudele, e quindi il pericolo è estremamente reale. Ma nonostante questo, noi continuiamo ad amare, ad amare e a sacrificarci con amore, perché siamo un Paese cristiano e abbiamo i nostri valori profondi, e l'amore e la salvaguardia sono tra i nostri valori fondamentali».

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20 giugno 2024, 14:15