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Don Luigi Giussani con alcuni studenti Don Luigi Giussani con alcuni studenti 

Cronache dal tempo della crisalide, il Sessantotto di don Giussani

L’Osservatore Romano presenta il volume “Una rivoluzione di sé”, curato da Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Cl, con le trascrizioni delle lezioni tenute dal fondatore di Comunione e Liberazione tra il ’68 e il ‘70

di Silvia Guidi

«La cultura è cultura quando cerca il moto ondoso in aumento perché ha a che fare con la vita, con le cose mosse» si legge nell’editoriale che illustra l’ultimo numero di «.Con», la rivista di approfondimenti del Centro Culturale di Milano. «Sono la responsabilità nostra e il mistero dell’accadere delle cose. Appunto: con il mare mosso. La cultura non può cercare vie di scampo, non può uscire dalla vita». 

E proprio il moto ondoso più intenso, lo “scossone più grosso” mai subìto dall’esperienza della futura Comunione e Liberazione è al centro di Una rivoluzione di sé. La vita come comunione (1968-1970) (Milano, Rizzoli, 2024, pagine 324, euro 17), in libreria a partire dal 16 luglio. 

Il volume, curato da Davide Prosperi, presidente della Fraternità di Cl, contiene le trascrizioni delle lezioni tenute da don Luigi Giussani nell’arco di tre anni di incontri e riflessioni, dal 1968 al 1970, in particolare, nelle Giornate d’inizio anno e durante gli Esercizi spirituali. Testi preziosi non solo perché ancora inediti, ma perché nati «al fuoco della controversia» per citare il titolo di una raccolta di Mario Luzi, un verso che condensa in poche sillabe il clima culturale del decennio 1968-1978. 

«Negli anni incandescenti del Sessantotto — scrive Prosperi nella prefazione al libro — gli impetuosi venti di cambiamento che agitano la società si insinuano anche tra le fila del movimento di Gioventù Studentesca, che fino al 1965 è guidato da don Luigi Giussani: un migliaio di liceali e alcune centinaia di universitari se ne allontanano per aderire al Movimento Studentesco». Dopo aver lasciato la guida di Gioventù Studentesca, in quegli stessi anni don Giussani frequenta  il Centro culturale Charles Péguy. Fondato nel 1964 a Milano da un gruppo di laureandi, laureati e assistenti universitari, «di fatto — continua Prosperi — rappresenterà la prosecuzione dell’esperienza cominciata nelle aule del Liceo Berchet e, al contempo, l’inizio di quella realtà che di lì a poco assumerà definitivamente il nome di Comunione e Liberazione». Come il tempo della crisalide, continua Prosperi, «che segna il passaggio tra l’energia potenziale del bruco  e l’espressività compiuta della farfalla». 

Il filo rosso che percorre la raccolta è una intuizione tanto semplice quanto gravida di conseguenze:  l’ingrediente decisivo, insostituibile per costruire un mondo più umano è la comunione, antidoto potente a personalismi, astrazioni, derive intimistiche che tendono, presto o tardi, a prescindere dalla realtà e privilegiare un particolare piuttosto che un altro. E a trasformare in schema, o, peggio, in ideologia ogni tentativo di costruire il bene comune. 

Non solo: l’io riconosce se stesso solo in rapporto con gli altri, vedendo se stesso in azione, non limitandosi a “pensarsi”. L’identità del singolo trova linfa e nutrimento nelle relazioni, a partire da quella relazione nativa e fondante che è il rapporto con il Creatore. Non a caso, «io sono Tu che mi fai» è una delle definizioni alternative al razionalismo del Cogito cartesiano più amate e più spesso citate dal sacerdote di Desio. 

Ma torniamo al libro Una rivoluzione di sé. La vita come comunione (1968-1970). «Attento osservatore della società, don Giussani guarda al sommovimento politico, sociale e culturale portato dal Sessantotto cogliendo l’istanza profonda che sta alla base del fenomeno – il risveglio del desiderio di autenticità nella vita e di cambiamento nel mondo – e leggendo gli anni della contestazione giovanile come il crinale di un cambiamento d’epoca che si stava preparando già da tempo».

La forza della proposta di don Giussani si rivela intatta, continua Prosperi, se non ancora più dirompente oggi, in una società segnata da un individualismo portato al massimo grado, spesso talmente pervasivo da non essere più percepito come problema.  Il “terremoto Sessantotto” si sarebbe rivelato, inaspettatamente, una importante tappa di maturazione e consapevolezza. 

Attingere a queste fonti è un modo per prendere sul serio l’invito di papa Francesco ai ciellini del 15 ottobre di due anni fa: «La potenzialità del vostro carisma è ancora in gran parte da scoprire, ancora c’è gran parte da scoprire». La forza di ogni nuovo germoglio è nelle radici, nel metodo messo in pratica dal fondatore. 

«A don Giussani, giovane prete —  nota Nicola Sabatini, presidente del Centro Culturale Massimiliano Kolbe di Varese — sono bastati pochi incontri casuali con giovani che si dicevano cattolici, ma del tutto ignoranti rispetto al contenuto proprio della fede, per decidere di abbandonare “il paradiso della teologia” per un impegno nella scuola statale, dove entrò forte di un solo pensiero: “sono qui per portare a loro quello che è stato donato a me”. Questo imponente lavoro educativo da lui intrapreso ha fatto scoprire la proposta cristiana a migliaia di giovani come una ricchezza per il presente, perché così era per lui». 

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15 luglio 2024, 16:36