Santa Monica, modello di mamma da imitare
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Una donna istruita, di intelligenza vivace, dalla volontà salda, dal carattere nobile, fiero e deciso, profondamente sensibile, fermamente credente, incline alla preghiera, al raccoglimento e all’elevazione interiore. Questo è stata Santa Monica, nata nel 331 a Tagaste, l’odierna Souk Ahras, in Africa, sposa di Patrizio, membro del consiglio municipale cittadino, e madre di tre figli: 2 maschi, Agostino e Navigio, e una femmina, di cui non è noto il nome. In lei spicca lo spirito di fraternità cristiana; prudente e saggia, tra amiche e conoscenti era anche seminatrice di pace, evitava maldicenze e mormorazioni. Sono tratti che conosciamo leggendo Le confessioni e i Dialoghi del figlio Sant’Agostino, che la descrive anche assidua in chiesa e nell’elemosina, “devota e sottomessa” ai santi, fedele nella pratica del digiuno, esempio di carità. La immaginiamo brava massaia, anche quando Agostino si ritira nella tarda estate del 386 a Cassiciaco, nella Brianza, per prepararsi al battesimo, e madre premurosa, intenta, per il trentaduesimo compleanno del figlio, a preparare una torta i cui ingredienti potrebbero essere quelli citati nel De beata vita dallo stesso Agostino, che scrive di un dolce a base di “miele, farina e mandorle” proprio nel giorno del suo genetliaco, il 13 novembre.
Monica muore nel 387, ad Ostia, all’età di 56 anni. Da allora il suo esempio di vita è rimasto vivo nei secoli, e la Chiesa, che la celebra oggi, 27 agosto, giorno che precede la memoria liturgica del figlio Sant’Agostino, la propone, in particolare, come modello per le donne sposate, le madri e le vedove. E oggi insegna, soprattutto, a essere costanti nella preghiera, ad affiancare i giovani rispettando la loro individualità e a vegliare sul loro cammino verso la maturità, come spiega a Radio Vaticana – Vatican News il priore della Provincia Agostiniana d’Italia, padre Gabriele Pedicino.
Conosciamo Santa Monica dagli scritti del figlio Agostino, che la descrive amorevole, forte, affettuosa, donna sobria, ma anche severa. Di fronte all'attuale emergenza educativa, Monica è ancora un esempio per le madri del terzo millennio?
Credo che lo sia e lo sia in maniera molto attuale e moderna, soprattutto in questo accenno che è stato fatto: donna severa ma allo stesso tempo anche tenera e sobria. Credo che oggi la sfida educativa sia proprio riuscire a mantenere insieme queste due realtà: essere insieme teneri, capaci di empatia, con i giovani, con i figli, con coloro che ci sono affidati, e al contempo non perdere mai di vista l'orizzonte della severità, della fermezza, non diventando sempre solo amici dei più giovani che ci sono affidati, ma diventando anche veramente guide, modelli, maestri e anche, qualche volta, correttori.
Era una fede salda, quella di Monica, nutrita da una partecipazione attiva alle attività pastorali, da pie pratiche e dalla Parola di Dio, una fede che riusciva, a volte, a dare anche risposte agli esigenti interrogativi del figlio Agostino. Cosa dobbiamo imparare oggi da Monica?
La mamma di Sant'Agostino, Monica, era una donna matura e quindi la sua fede esprime questa maturità. E sappiamo che la maturità è fatta di responsabilità, è fatta di uno sguardo che sa prendersi cura. Questo Monica lo esprime in maniera molto chiara nel seguire il figlio, nell’accompagnarlo, a volte anche fisicamente, ma sempre spiritualmente. Vedo molto difficile, oggi, educare i figli da parte di una mamma se questa mamma non prega, ed è molto difficile poter aiutare un figlio se una mamma non sa che l'aiuto più grande, più potente, è quello che può venire dal Signore, dalla vita sacramentale, dalla preghiera.
“Tra due anime di ogni condizione che fossero in urto e discordi, appena poteva, cercava di mettere pace”, scrive Agostino della madre nelle Confessioni. In questo tempo in cui, purtroppo, spirano venti di guerra, in che modo imitare Monica e contribuire perché ci sia armonia tra i popoli?
Questi venti di guerra, lo sappiamo molto bene, spirano nel microcosmo come nel macrocosmo. È la grande vocazione del cristiano - ecco perché Monica la sentiva sua e oltre Monica potremmo ricordare San Nicola da Tolentino o Santa Rita da Cascia, anche loro diventati operatori di pace - quella di costruire ponti, quella di favorire l'ascolto, il dialogo. Quindi, credo, che il segreto, oggi, per favorire la pace tra i popoli è il rispetto, ripartire dall’ascolto, dal dialogo. È una grande sfida ed è una sfida che non possiamo vincere, affrontare, da soli, ma imparando dal Signore.
Lei è stato eletto da poco priore della Provincia Agostiniana d'Italia, quali sono le priorità che voi religiosi agostiniani vi proponete di affrontare in questi anni nelle diocesi in cui siete presenti?
La nostra forza è la vita fraterna, la vita comunitaria, e sappiamo quanto isolamento, invece, quanta solitudine c'è nella nostra società, nelle nostre famiglie, a volte nelle nostre Chiese locali. E quindi, credo, che un aspetto importantissimo che noi dovremmo curare è proprio questo crescere nella vita di fraternità, nella vita di comunione e diventare un po’ lievito proprio con la nostra vita buona, vissuta da fratelli, da degni figli di Agostino.
A quali orizzonti pastorali guardate?
L'orizzonte è quello delle povertà del nostro tempo, che non sono solo povertà materiali, ma anche povertà spirituali. Sono povertà umane, che nascono anche da mancate relazioni, dalla mancanza di figure, persone di riferimento, di maestri, di modelli, di esempi. Credo, allora, che le nostre comunità dovranno essere case per tanti, famiglie per molti, punti di riferimento soprattutto per i più giovani.
Quali sono oggi i centri agostiniani italiani più significativi?
Grazie a Dio, nella nostra realtà italiana e non solo - perché la Provincia d'Italia abbraccia anche alcune presenze sulle Ande del Perù e anche a Kosice in Slovacchia - tutte le nostre realtà sono significative, uniche. Certamente ce ne sono alcune che hanno l'impronta della presenza di un santo o di una santa: non posso non pensare al nostro Santo Padre Agostino a Pavia, la Basilica di San Pietro in Ciel d'oro, dove sono custodite le reliquie, o ancora alla tomba di Santa Monica, nella nostra chiesa di Sant'Agostino in Campo Marzio, a Roma. Poi c’è il bellissimo Santuario della Madre del Buon Consiglio a Genazzano. Sono luoghi, a mio avviso fondamentali, un po’ per la presenza di Sant’Agostino, di Santa Monica, di Maria, Madre del Buon Consiglio, che in un tempo di tanta confusione e di tanto smarrimento, possono essere un segno di consolazione per i fedeli. E poi non dimentichiamo altri luoghi, come Cascia con Santa Rita, che non ha bisogno di presentazioni; Montefalco con Santa Chiara della Croce e le stimmate nel cuore dei segni della passione di Cristo, una mistica contemplativa straordinaria; San Nicola da Tolentino, un modello per tanti agostiniani, sacerdote che incarna un po’ tutto quello che Papa Francesco raccomanda ai sacerdoti: l'attenzione ai poveri, una vita austera, sobria, una vita di preghiera, spesa nel ministero, nel servizio e diventando costruttori di pace. Ci tante altre realtà, ricordo in modo particolare, Viterbo, dove sta crescendo una bella realtà giovanile, Milano Santa Rita e Roma Santa Rita, nella periferia di Tor Bella Monaca. Sono luoghi dove possiamo vivere questa missione straordinaria dell'evangelizzazione, dell'attenzione ai poveri, e poi ci sono inoltre luoghi di arte e cultura, come la nostra chiesa di San Giacomo a Bologna, o ancora la nostra chiesa di Firenze, Santo Spirito. Sicuramente ne dimentico qualcuna, perché tutte le nostre realtà sono davvero preziosissime e uniche, come alcuni santuari anche diocesani, penso al Santuario della Madonna dei Miracoli di Andria, bellissima Basilica del Seicento. Si tratta di luoghi dove c'è questa unicità che è propria degli agostiniani, che è rappresentata dalla spiritualità dell'accoglienza, dal servizio del ministero al confessionale e della predicazione.
Sant'Agostino è stato un giovane inquieto, immerso nel mondo, attratto da svaghi e mode del momento, che ha poi trovato la strada della Verità , come vi accostate voi ai ragazzi di oggi e alle loro problematiche?
Difficile un po’ esprimerlo in maniera generale, posso parlare un po’ per l'esperienza personale che ho vissuto prima di essere eletto superiore provinciale. Negli ultimi 19 anni ho vissuto in una casa che viveva questo servizio, a 360 gradi, dell'accoglienza dei giovani. Accogliere significa prima di tutto farsi prossimo, farsi attento e non voler per forza imporre la propria idea, anche se buona, anche se la migliore, accostarsi alle loro problematiche. Ad esempio, quando ho letto alcune parti delle Confessioni con i giovani, cercando di interpretarle, un po’ mediandole, anche con un linguaggio più moderno, molti giovani hanno riconosciuto in questa esperienza di Agostino la loro esperienza. Cioè, si sono resi conto che Agostino ha messo per iscritto, le inquietudini, le lotte, i desideri che portano nel cuore. La nostra fede è la cosa più buona che possiamo dare ai giovani, ma bisogna entrare nella vita di questi ragazzi con grande rispetto, in punta di piedi e pian piano, soprattutto con la vita più che con le prediche, fargli capire che non c'è vita più bella di quella di chi la consegna al Signore, non per forza facendosi religioso, ma anche nell'esperienza della vita matrimoniale, missionaria, fidandosi di Dio. Questo noi, come agostiniani, come cristiani, alle nuove generazioni dobbiamo insegnarlo soprattutto col buon tenore della vita. Io dico spesso che le nostre realtà devono diventare luoghi in cui si impara a far calare la fede nella vita, nella vita concreta di tutti i giorni.
Per concludere, secondo lei come parlerebbe Monica ai giovani? Cosa suggerirebbe loro?
Sicuramente Monica parlerebbe ai giovani come ha parlato al suo figlio amato Agostino. Direbbe loro di non sprecare la vita, di non sprecare il tempo, di saper sempre ringraziare per tutto quello che si ha, di saper cogliere le occasioni, le opportunità meravigliose di cui è segnata tutta la nostra esistenza. Saper fare buon frutto anche delle esperienze dolorose, delle esperienze difficili, perché nella fede anche i campi più aspri, più duri, le strade con tanta salita, possono essere sicuramente strade che ci insegnano tanto.
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