Paolo, apostolo e maestro della Torah compiuta
Debora Donnini – Città del Vaticano
Un’immersione nella vita, negli scritti, nel pensiero dell’Apostolo delle genti è quella che viene proposta nel libro “Paolo, apostolo e maestro della Torah compiuta”. A firmare la prefazione è Sua Beatitudine il cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, che mette in evidenza l’importanza della traduzione ex-novo che i due autori hanno fatto delle fonti extra bibliche, giuridiche e patristiche, ed esprime l’auspicio che “l’opera trovi diffusione nel campo degli studi di esegesi biblica”. “Una delle caratteristiche peculiari dell’opera è quella di essere profondamente ancorata nelle Scritture e in costante dialogo con esse”, scrive il porporato.
Le novità
Il grande lavoro di oltre 500 pagine è stato realizzato da due sacerdoti italiani, don Germano Lori e don Francesco Giosuè Voltaggio, entrambi fidei donum al Patriarcato di Gerusalemme dei Latini. Da anni sono impegnati non solo nell’approfondimento scientifico della ricerca biblica, ma la loro vita è anche spesa per l’annuncio del Vangelo in Terra Santa. I due sacerdoti hanno, dunque, dato vita a un’opera che si propone di essere innovativa sotto diversi punti di vista ed è diretta non solo all’ambito accademico ma a quanti desiderino assaporare appieno la portata di san Paolo per la fede e il pensiero cristiano.
Si parte dal mettere in rilievo la matrice culturale nella quale si forma l’Apostolo, che vede l’intersecarsi della formazione religiosa ebraica, l’educazione ellenistica e il suo essere cittadino romano. Nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News, don Francesco Giosuè Voltaggio sottolinea anzitutto il contesto ebraico di formazione di Paolo “che - spiega - è stato iniziato non solo alle Scritture, ma anche alla tradizione orale di Israele e ha riletto le Scritture e questa tradizione orale alla luce del suo compimento ultimo, la novità del Messia”. Da qui il titolo stesso del libro “Paolo apostolo e maestro della Torah compiuta”.
Il primo aspetto su cui gli autori hanno voluto insistere è, dunque, proprio “l’ebraicità” di san Paolo, “non sempre abbastanza valorizzata”, rileva don Voltaggio. “In secondo luogo abbiamo rivisto la cronologia della vita di Paolo in base in particolare al possibile esito del suo processo, studiando a fondo soprattutto il sistema giuridico dell'Impero Romano e riproponendo anche la sua possibile scarcerazione nell'anno 62 in base alle decisioni giuridiche romane di quel tempo”. “Infine - spiega - in merito alla questione dell'autenticità delle lettere Deuteropaoline (Efesini, Colossesi, 2 Tessalonicesi) e delle lettere Pastorali (1 e 2 Timoteo e Tito) abbiamo cercato in modo critico di rivedere le posizioni che nell’esegesi odierna si sono consolidate nel tempo fino ad oggi”.
La conversione
Spazio viene dedicato nel testo alla conversione di Saulo e in questo senso si evidenzia come il martirio di Stefano fu rilevante. “Certamente - spiega don Voltaggio - la manifestazione di Cristo a San Paolo è una manifestazione soprannaturale, ma la conversione è in qualche modo sempre un processo a tappe e pensiamo che una delle tappe fondamentali sia stata, come si narra negli Atti degli Apostoli al capitolo settimo, il fatto che Paolo non solo sia stato testimone oculare del martirio di Santo Stefano, ma abbia anche approvato la sua uccisione. Vedendo come Stefano perdonava i nemici, vedendo incarnato in un uomo l'amore ai nemici, a coloro che lo stavano uccidendo, questo sicuramente ha lasciato una traccia profonda nella psicologia di Paolo come anche può essere implicito in alcuni dei suoi scritti, ma anche ovviamente nella sua conversione”. “Nella tradizione ebraica - aggiunge don Voltaggio - c'è un testo bellissimo che dice: ‘Chi è l'eroe più grande di tutti?’. Alcuni dicono: ‘Chi converte il suo nemico in amico’”.
Oltre alla matrice ebraica, in san Paolo è fondamentale la sua formazione nella cultura ellenistica e il suo essere cittadino romano. Paolo è un ebreo della Diaspora, greco per lingua e per cultura, è stato educato anche a Tarso, famoso centro, anche per quanto riguarda la cultura, in particolare la retorica ellenistica e la filosofia: c'era ad esempio un’importante scuola di filosofia stoica. Tutto questo emerge nei suoi scritti. Il nome di Paolo era in ebraico Saul (שאול, Shaʾùl). “Paolo - rileva l’autore - si sentiva ed era un cittadino romano, spesso si presenta infatti con il nome latino di Paulus o con quello greco di Pàulos (Παῦλος). Si sapeva confrontare con il mondo ellenistico, con il mondo romano, con i procuratori romani. Rivendica i suoi diritti di cittadino romano e non ultimo nei suoi scritti vede l'autorità civile, compresa quella di Roma, come una realtà voluta da Dio per il bene degli uomini e infatti Roma rappresenta il culmine del suo progetto di evangelizzazione e proprio nel Caput mundi morirà martire”.
L’evangelizzazione
Si possono poi ripercorrere, nel testo, i viaggi che ha compiuto, la sua opera di evangelizzazione, il suo legame con le prime comunità cristiane, il suo rapporto con Pietro. Una testimonianza certamente importante per oggi. “Paolo non opera mai da solo. Innanzitutto pur essendo depositario di una rivelazione straordinaria di Gesù Cristo, viene iniziato da Anania e da una comunità. È sostenuto da Barnaba e comincia a far parte della prima comunità cristiana di Antiochia che lo invia in missione. È legato alla tradizione apostolica e alle prime Colonne della Chiesa, seppur con alcune tensioni con Pietro che lui chiama sempre Cefa, con un grandissimo rispetto e ricerca di comunione e unità con lui”, rimarca l’autore.
“Paolo trasmette quello che ha ricevuto, opera in un’équipe, in particolare collaborando con famiglie missionarie come Aquila e Priscilla, con donne, per esempio, pensiamo al ruolo importantissimo di Lidia negli Atti degli Apostoli ed è sempre membro di una comunità che evangelizza. Quindi, non evangelizza mai da solo, ma con questa forza prorompente della primissima comunità. Penso che in Paolo emerga chiaramente come istituzione e carisma siano co-essenziali nella Chiesa”.
Come emerge dalle Lettere a queste prime comunità cristiane sparse nell'impero romano, Paolo deve affrontare diversi e svariati problemi. “I problemi affrontati dalle prime comunità sono stati innumerevoli e questo penso che debba dare grande speranza alla Chiesa di oggi. Le prime comunità - spiega ancora don Voltaggio - erano attaccate su vari fronti, per esempio, pensiamo alla forte religiosità pagana spesso legata al potere o alla forte identità ebraica, però ciò che sin dai primi momenti fece più soffrire Paolo furono le tribolazioni all'interno delle prime comunità, i falsi apostoli, che tentavano di far deviare le comunità dalla radicalità e dalla genuinità del Kerigma, dell’annuncio che era tutto incentrato sulla gratuità dell'amore di Dio in Cristo. Proprio queste grandi persecuzioni hanno salato le prime comunità che dopo hanno avuto una forza enorme”.
Le Lettere paoline
Viene anche affrontata la questione della discussione fra gli esegeti sulla distinzione delle Lettere di San Paolo fra Lettere protopaoline, considerate autentiche (Romani, 1 e 2 Corinzi, Galati, Filippesi, 1 Tessalonicesi e quella a Filemone); le Lettere deuteropaoline, di cui viene discussa l'autenticità (Efesini e Colossesi), e le Pastorali, delle quali l’autenticità si ritiene in genere più improbabile (1 e 2 Timoteo e Tito). In merito il testo suggerisce un diverso sguardo che approfondisca il dibattito. “Noi crediamo - spiega - che queste datazioni possano essere riviste criticamente perché non possediamo sufficienti dettagli per datare esattamente le Lettere Paoline, a parte qualche raro caso. In questi casi delle Deuteropaoline e delle Pastorali, noi abbiamo rivisto tutti i dati. Senza entrare nel dettaglio - perché sarebbe lungo e ci sono variazioni da Lettera a Lettera - don Voltaggio ricorda “che non bisogna mai dimenticare che Paolo non scriveva tutte le Epistole di suo pugno: le dettava spesso a qualche segretario o a qualche scriba, scelto tra i suoi collaboratori. Tanto che nella Lettera ai Romani si legge: ‘Anch'io Terzo che ho scritto la Lettera, vi saluto nel Signore’. Questo può spiegare varie differenze stilistiche o di contenuto perché il contributo di questo scriba o di questo redattore, poteva essere anche abbastanza nutrito, fermo restando ovviamente il collegamento stretto con Paolo”. “Quindi – sintetizza nell’intervista - noi vorremmo rivedere tutte queste datazioni e anche soprattutto la questione della autenticità o meno, alla luce di dati il più possibile certi. Abbiamo seguito questa linea, ovviamente con libertà critica e con onestà scientifica”.
Grazie, fede, Kerygma
Vari gli argomenti della teologia paolina affrontati nel libro. Gli autori sottolineano, ad esempio, come Paolo non presenti l’opposizione fra fede e Legge quanto fra la giustificazione per fede e la giustificazione mediante la Legge. Per comprendere questo bisogna risalire all’etimologia. “In ebraico - rimarca don Voltaggio - Legge si dice Torah, poi questo è stato tradotto in greco con Nomos e in latino con Lex. Questa è una traduzione, forse l'unica possibile, però che non esprime tutta la ricchezza semantica, cioè di significato, del termine Torah perché Torah significa insegnamento e nella Torah che prima di tutto è il Pentateuco - i primi cinque libri della Bibbia - non ci sono primariamente prescrizioni legali, ma c'è una storia di salvezza che Dio opera”.
Per entrare nella teologia di Paolo bisogna dunque rifarsi alla sua formazione ebraica. “Gli ebrei - spiega ancora l’autore - sottolineano che la Legge è una ‘grazia’. Quindi Paolo non può opporre Legge, cioè la Torah, da una parte e la fede dall’altra perché la Torah è stata data da Dio e Cristo stesso dice di non essere venuto per abolire la Torah, ma per darle pieno compimento”. Per don Voltaggio, dunque, questo significa che Paolo piuttosto oppone la giustificazione per la Legge e la giustificazione per la fede: “Paolo è convinto che nell’uomo non risieda tutta la capacità di compiere con le sue sole forze la Legge, per questo ha bisogno di Cristo che è l'unico Giusto e che ci dona la Legge compiuta nel suo Spirito e quindi è la fede in Lui, è la Grazia che ci permette di compiere le opere della Legge e poi di compiere le opere della fede perché le opere comunque sono importanti per Paolo, ma sono frutto della Grazia, dell'accoglienza del Kerygma, della fede in Cristo”.
Per comprendere appieno la missione di Paolo di Tarso, centrale è anche ricordare l’importanza dell’annuncio del Kerygma, della Buona Notizia della morte e risurrezione di Cristo. Ed è proprio questo aspetto che colpisce di più il co-autore del libro. “Paolo - conclude don Voltaggio - non ha perso tempo in molte discussioni, è stato un grandissimo missionario itinerante pieno di zelo, e il suo ‘motore’ era quello di portare a tutti, alla sua generazione, il Kerygma, cioè il tesoro del mistero Pasquale di Cristo che lui aveva sperimentato nella sua vita e penso che è questo che il mondo sta aspettando da noi”.
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