Medio Oriente, Pizzaballa: lontano un cessate il fuoco, ma la pace è possibile
Edoardo Giribaldi – Città del Vaticano
Superare l’equivoco in cui si cade nel confodere la parola “pace” con “soluzione”, ma non perdere la fiducia nel trovare modi “creativi” per raggiungere un cessate il fuoco che rimane “non impossibile”. Il patriarca di Gerusalemme dei latini, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha espresso la sua posizione riguardo il delicato conflitto in Medio Oriente. L’occasione è stata la tavola rotonda dal titolo “La pace è possibile? La crisi del Medio Oriente”, organizzata nell’ambito della festa di San Pio da Pietrelcina presso il Santuario di San Salvatore in Lauro, a Roma. Ospiti il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, il neo eletto capo della Protezione Civile, Fabio Ciciliano; a moderare l’incontro, il direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli, il quale ha esordito ricordando le parole di Papa Francesco di ritorno dal lungo viaggio apostolico nel Sud-Est asiatico e in Oceania, quando, rispondendo ad una domanda sulla questione della guerra a Gaza, ha detto di non riscontrare passi per fare la pace. Tornielli ha pure ricordato i rapporti che parlano di una spesa, solo nel 2023, di più di 2 mila miliardi di dollari per la fabbricazione di armi, oltre ad un cambio nel paradigma del linguaggio utilizzato dagli attori politici, per i quali il ricorso alle armi atomiche non rappresenta più un tabù.
Un conflitto che sembra eterno
“La pace è possibile?” è stato il leitmotive che ha guidato la conversazione. Il ministro Giorgetti ha paragonato le immagini che arrivano dal Medio Oriente alle prove sopportate dal personaggio biblico di Giobbe. “Il conflitto è talmente ricorrente da sembrare eterno. Non possiamo metterci nell’ordine di idee che la guerra sia una condizione ineluttabile”, ha affermato. “Gli uomini di buona volontà devono impegnarsi in un dialogo per una convivenza pacifica”. Le conseguenze del conflitto, ha aggiunto il ministro, si allargano inevitabilmente alla comunità economica mondiale e alle sue dinamiche politiche.
Il pericolo escalation tra Israele e Libano
Pizzaballa è partito da un aggiornamento sulla recente escalation registrata tra Israele e Libano. “Il fronte nord è sempre stato caldo, non è una novità che ci siano tensioni, ma in questa forma si ritorna indietro fino al 2006, quando c’era stato l’ingresso dell’esercito israeliano in Libano”, ha detto. Con lo scoppio del conflitto, Hezbollah ha intensificato gli attacchi ad Israele, ha raccontato il cardinale, parlando di operazioni andate avanti “in maniera più o meno controllata fino a pochi giorni fa”. La nuova fase “di maggiore intensità, iniziata ancora prima della cosiddetta operazione dei cercapersone”, è quello che la cronaca recente riporta. Lanci di razzi che dal Libano raggiungono Haifa e risposte di Israele. “È molto difficile capire quali siano le intenzioni reali degli uni e degli altri", ha comandato il patriarca di Gerusalemme, "ci sono scambi di accuse, molti annunci, ed è difficile capire cosa sia reale e cosa no. Ma è un dato di fatto che vi sia, da parte di entrambi e in maniera diversa, l’intenzione di arrivare a dare una sorta di ‘lezione’ all’altro, in modo da calmare le popolazioni”.
Il sentimento di “odio” che corrode Gaza
Sul fronte Cisgiordania, gli scontri sono “continui” e causa di tensioni “molto alte”. Il sentimento di “odio” che si è venuto a creare in seguito agli attacchi non aiuta il processo di pace, rendendo la situazione continuamente “esplosiva”, ha poi sottolineato Pizzaballa. Non una “Gaza 2”, ma comunque teatro di una situazione difficile. Le centinaia di cristiani nella Striscia, invece, vivono in una situazione per certi versi “privilegiata”, essendo essi accampati nelle chiese. Dispongono di una cucina comune dove si prepara da mangiare “due volte alla settimana”, per pasti che poi vengono in parte compensati dagli aiuti umanitari che riescono ad arrivare. Da non sottovalutare, tuttavia, le mancanze in termini di igiene, ha evidenziato il porporato, oltre al rischio di contrarre malattie come la polio, specialmente tra i più giovani. Sul fronte negoziato, “c’è e da tempo", ha affermato Pizzaballa: "C'è con Egitto, Qatar, Stati Uniti. Ma non funziona. Sembra sempre di essere vicini alla soluzione ma non si arriva mai alla pace”. Secondo il cardinale, tuttavia, è comunque necessario continuare a “lavorare": "Qualsiasi cosa che possa portare un briciolo di fiducia è qualcosa di grande”.
Non confondere “pace” con “soluzione”
Ricordando gli attacchi del 7 ottobre, dei quali si avvicina l’anniversario, il patriarca di Gerusalemme dei latini ha indicato quel drammatico giorno come un evento “inaspettato”, arrivato proprio quando sembrava che la situazione in Medio Oriente fosse sul punto di stabilizzarsi. La popolazione israeliana è ancora “dentro” quei tragici avvenimenti, ha detto: “Siamo ancora nella fase di punta del conflitto, ma abbiamo bisogno di ripensare linguaggio, criteri e prospettive”. Sulla possibilità di un cessate il fuoco, non bisogna confondere “la parola pace con soluzione", ha affermato il cardinale Pizzaballa. "In questi termini, non ha molto senso parlarne. Al momento in Israele si vuole vincere e la pace al momento non è la vittoria. Questo è uno dei grandi equivoci e non solo in Terra Santa”.
Non è impossibile la pace
La pace rimane comunque sempre possibile, “poiché è una scelta”. Il porporato ha approfondito il tema spiegando come “la pace politica, con due parti che arrivano ad un accordo, non c’è. Questo non significa che sia impossibile. Le istituzioni in questo momento sono paralizzate e la diplomazia non è in grado di influire in maniera determinante sul conflitto. Tuttavia, la società non è composta solo dalle istituzioni, ma anche da altre realtà”. Su tutte, quelle nel campo del volontariato, presenti attraverso numerosi canali in Terra Santa, “con le quali si può lavorare. Se ho imparato qualcosa in questo anno è che la pace la devi preparare. Essa - ha sottolineato - è frutto di cultura e devi prepararla nelle scuole, dal basso, creando le occasioni che possono ricostruire poco alla volta la fiducia”.
La necessità e il coraggio dei testimoni
"Le città si possono ricostruire”, ha osservato Tornielli, ma più difficile risulta “estirpare l’odio che si è creato nei bambini e nelle nuove generazioni”. Proprio all'interno di tale processo, secondo Pizzaballa, risulterà determinante il dialogo interreligioso, il che non “significa necessariamente volersi bene” ma trovare delle soluzioni per vivere fianco a fianco. “Ci sarà bisogno di testimoni, poiché le cose non cambiano da sole. Ci vuole coraggio, magari qualche volta affrontando anche la solitudine”. Un passaggio della conversazione è stato dedicato quindi alla parola “perdono”. “Non è facile parlarne adesso. A livello personale ci sono meravigliose testimonianze di perdono, ma a livello pubblico c’è bisogno di dinamiche diverse. Sono argomenti complessi e difficili, che però richiedono testimoni capaci di portare dentro la riflessione pubblica queste attitudini. Noi cristiani, in questo senso, dovremmo essere attrezzati. Anche se siamo pochi, dobbiamo essere capaci di guardare oltre”.
Le parole di don Tonino Bello
In conclusione, un focus sul linguaggio usato in contesti così delicati e troppo spesso semplificativo. Anche dietro la tastiera, si usano "parole durissime". Sono state richiamate in tal senso le indimenticabili parole di don Tonino Bello: "La guerra inizia quando si dissolve il volto dell’altro’”.
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