Fondazione Migrantes, l’unica Italia che cresce è quella all’estero
di Francesca Sabatinelli e Alessandro Guarasci
Dopo il rallentamento dovuto alla pandemia, il flusso dei cittadini italiani all’estero ha ripreso senza interruzione a crescere e il 19mo Rapporto Italiani nel Mondo 2024 della Fondazione Migrantes, dedicato al tema della cittadinanza, ne racconta il raddoppio rispetto al 2006, con i 6.100.000 iscritti all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'estero del 2024. “Da tempo – si legge - l'unica Italia a crescere continua ad essere soltanto quella che ha scelto l'estero per vivere".
Il crollo della natalità
Delfina Licata, curatrice della ricerca presentata oggi a Roma, spiega che la crescita delle partenze vede protagonisti coloro che hanno fra i 18 e i 34 anni, il 45% del totale delle uscite per motivi di espatrio. “È una mobilità che continua – indica Licata – e che riguarda sempre più i giovani e i giovani adulti”. A questo si aggiunge il ritorno alle partenze degli anziani, dai 65 anni in su, “se da una parte nonni e nonne finiscono col fare all’estero i baby sitter dei loro nipoti, dall’altra ci sono coloro che sono insoddisfatti”. A tali partenze, indica la ricerca, che quindi “non hanno solo una motivazione professionale, non corrispondono però altrettanti ritorni. L’estero ha sostituito l’ascensore sociale bloccatosi negli anni Novanta”. A tutto questo si lega “l’inesorabile discesa della natalità”, con un calo demografico molto più evidente nelle aree interne.
La scelta della genitorialità
Tra i motivi portanti delle partenze resta quello del lavoro che diventa “concausa”, spiega ancora la ricercatrice, poiché la motivazione delle partenze resta “la ricerca di una esistenza felice che passa anche attraverso una migliore retribuzione e, per i giovani, nella realizzazione della genitorialità, più attuabile in altri Paesi che hanno supporti di welfare e politiche per le famiglie più incentivanti rispetto all’Italia”.
Le migrazioni interne
Lombardia, Veneto e Sicilia sono rispettivamente al primo, secondo e terzo posto come regioni di partenza, la maggior parte delle persone che escono sono in realtà originarie del sud che, aggiunge Licata, “dopo un primo percorso migratorio verso il nord, affrontano l’oltreconfine”. Prima di questo c’è spesso ‘l’anticamera’, ossia la migrazione interna - si parla di un milione di spostamenti durante l’anno - che riguarda soprattutto il sud verso il nord, per studio, per lavoro e sempre più anche per motivi di salute, il cosiddetto pendolarismo sanitario, tutto questo a detrimento dello sviluppo soprattutto delle aree interne italiane.
Percorsi di cittadinanza
Mediamente, spiega ancora il rapporto, su circa 2 milioni di trasferimenti annuali complessivi, circa tre quarti riguardano movimenti tra comuni italiani. Esodi che provocano la chiusura dei servizi principali delle aree interne che smettono di essere attrattive per i giovani che scelgono il trasferimento all’estero o in altra regione. “L’impatto che le partenze hanno da un’area interna rispetto a una città metropolitana – prosegue Licata – sono molto più gravi e portano ad una desertificazione non sono territoriale ma anche di menti”. In Italia, conclude il rapporto, sono decenni che il “dibattito sulla cittadinanza non trova compiutezza, né per quanto riguarda gli italiani che sono oltre confine, né per chi è nato, vive, studia e lavora da diverso tempo in Italia”. Si assiste, pertanto, “ad una sorta di distribuzione scalare dei diritti di cittadinanza nel mondo della mobilità e delle migrazioni”, con una classifica aperta dai cittadini comunitari, seguiti dai non comunitari, da rifugiati, richiedenti asilo e apolidi, che chiude con gli irregolari. È per questo, è l’appello di Migrantes, che è importante “a partire dalla pari dignità delle persone, e dal superamento di ogni forma di esclusione sociale, costruire percorsi di cittadinanza che aiutino a rileggere l’uguaglianza sociale delle persone”.
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