Gaza, padre Romanelli: “Noi non vogliamo lasciare la nostra parrocchia"
Roberto Cetera – Città del Vaticano
«Non c’è pausa, giorno e notte, dal rumore degli elicotteri e delle bombe» dice a «L’Osservatore Romano» padre Gabriele Romanelli, parroco della chiesa della Sacra Famiglia a Gaza. «I rumori provengono dalla zona a nord-ovest del nostro sito, verso Jabalia e Shita, in quest’ultima vivevano ancora alcune famiglie cristiane. Ma ora lì c’è stato l’ordine tassativo di evacuazione. Ormai i pochi cristiani rimasti sono rifugiati nelle due parrocchie, la nostra e quella ortodossa.
«La sede della Caritas e il nostro centro di formazione San Tommaso d’ Aquino, che si trovano quattro chilometri a nord del nostro compound hanno ricevuto l’ordine di evacuazione verso sud. Fortunatamente entrambi gli edifici sono pressoché vuoti perché erano in corso lavori di riparazione. Quattro chilometri sono pochi — aggiunge — e ci aspettiamo che presto le truppe israeliane arrivino anche nei pressi delle nostre case. Per questo c’è grande tensione al momento nella nostra comunità. Anche se noi non abbiamo ancora ricevuto alcun ordine di evacuazione». Tuttavia, conclude, «già da qualche settimana abbiamo ricevuto un messaggio di Idf che definisce la nostra come “zona rossa”, e indica due corridoi per andare a sud. Le nostre famiglie però non vogliono lasciare, non so cosa succederà. Perché dovremmo lasciare? Nessuno di noi è coinvolto nel conflitto. Cosa mai farebbero i nostri cristiani al sud? Ammassati con altri due milioni di sfollati palestinesi che non hanno più nulla e vivono nelle tende. Spero che la nostra condizione di pericolo sia conosciuta anche in occidente. E confido come sempre nelle capacità d’intervento del nostro patriarca (ndr il cardinale Pierbattista Pizzaballa)».
Le prossime ore saranno decisive per capire gli sviluppi anche sulla comunità cristiana della realizzazione di quello che è stato denominato il “piano dei generali”.
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