Giovanni Paolo II e il Patriarca Ilia nel 1999 Giovanni Paolo II e il Patriarca Ilia nel 1999

Giovanni Paolo II 25 anni fa in Georgia, Pasotto: "In quella visita vedemmo il futuro"

L'amministratore apostolico del Caucaso dei Latini riflette sull'importanza di quello storico viaggio “improvvisato”, durante il quale Wojtyla incontrò pure il patriarca Ilia II, che diede impulso al dialogo ecumenico, portò luce e speranza in un Paese in cui vi erano difficoltà politiche ed economiche e incoraggiò la Chiesa appena uscita dal comunismo

Tornike Kakalashvili – Città del Vaticano

Era l’8 novembre del 1999 quando Giovanni Paolo II atterrava a Tbilisi, in Georgia - primo Pontefice della storia - per un viaggio apostolico che lo vedeva arrivare dall’India e che lo avrebbe riportato in Vaticano il giorno successivo, il 9 novembre. Una visita storica, durante la quale il Papa polacco, tra i tanti appuntamenti, incontrò Ilia II, Catholicos Patriarca di tutta la Georgia e con lui firmò la dichiarazione congiunta in cui si ribadiva l’importanza del fondamentale valore della pace e si lanciava un appello al mondo invocandone l’impegno per evitare una catastrofe fatta di guerre e terrorismo. A venticinque anni da quell'evento, monsignor Giuseppe Pasotto, amministratore apostolico del Caucaso dei Latini, in un'intervista ai media vaticani, riflette sull'importanza di quello storico viaggio “improvvisato”, che, secondo lui, portò luce e speranza in un Paese in cui vi erano difficoltà politiche ed economiche.

Eccellenza, come andò il primo viaggio apostolico del Papa in Georgia? Che momento storico era quello per il Paese e che impatto ebbe in quel momento la visita?

Fu un evento eccezionale. C’era una attesa molto forte da parte della nostra Chiesa, che si trovò con un regalo che mai si sarebbe aspettato, se pensiamo che era una Chiesa, quella nostra cattolica, appena uscita dal comunismo. Arrivava il Papa, prima volta nei duemila anni della Chiesa, e non ci sentivamo neanche pronti. Fu qualcosa che ci sbalordì, io, personalmente, l’ho vissuto come un evento molto bello, ero da poco amministratore apostolico, e ricordo che tutti ci buttammo con entusiasmo dentro a questo evento. Era anche un momento particolare per il Paese. Dopo il periodo comunista, con presidente ancora Eduard Shevardnadze, ci si stava muovendo verso qualcosa di nuovo, sentivamo che qualcosa sarebbe accaduto. È stato come se si fosse accesa una lampadina che inviava vari raggi in tante direzioni. Successivamente si è capita ancor di più l’importanza.

Quali sono i suoi ricordi personali di quel viaggio?

Ne ho tantissimi. Furono due giorni molto intensi, da me vissuti interamente, anche nella preparazione. Ricordo quando doveva celebrare la Messa, il maestro delle cerimonie (allora era monsignor Marini), mi disse: “Vai ad aiutarlo, perché dovrebbe dire alcune parole in georgiano almeno le ripetete insieme”. Io andai dentro la sagrestia e dissi: “Santità è pronto?”. Lui iniziò a parlare in georgiano per poi dire: “È troppo difficile non facciamo niente, facciamo tutto normale in latino”. A quel punto io risposi: “Ma lei viene in Georgia, scende dall'aereo e dice: ‘Gamarjoba’ (Buongiorno/ Ciao/ Salve in georgiano ndr), fa innamorare tutti con una parola georgiana e qua alla Messa non dice neanche la benedizione?”. Mi guardò e a quel punto disse: “Va bene, mi aiuti, ripetiamo”. Ripetemmo dieci volte, e poi lui l’ha fatto, in georgiano.

Che tempi erano quelli per la Georgia e che significato ebbe quella visita per il Paese e per la comunità cattolica locale?

Erano tempi di povertà, perché dopo l'indipendenza ci fu la guerra civile e la Russia aveva chiuso ogni collegamento, la situazione economica era difficile. Io sono arrivato nel 1994, ricordo che c'erano nell'appartamento ancora l’acqua e il gas, alla fine dell'anno non ce n'erano più, se non a momenti, c’era la povertà e la città era buia, non c’era luce. Però sembrava che in quel momento lì la gente avesse nel cuore molte speranze, guardava al di là di quello che stava accadendo. Per me questo era bello, positivo, perché quando hai il cuore pieno di speranza riesci a fare cose che prima non pensavi di poter fare. C’era speranza e anche la visita del Papa, direi improvvisa perché solo un anno prima nessuno ci pensava, è stata vista come una strada che si apriva verso l’Europa, verso altre cose al di fuori della Georgia. Anche a livello religioso. In quel momento il Papa incontrò qualche problema a livello ecumenico, era qualcosa di nuovo. Fu comunque un momento in cui si vedeva il futuro.

Quali sono i frutti che si possono vedere oggi di quel viaggio apostolico?

Ogni viaggio è un segno; non è che un viaggio cambi le situazioni, ma diventa un segno, un'indicazione. Ho sempre detto che quando il Papa va in giro dà delle indicazioni, indica dei cammini da fare. I problemi, per esempio, a livello ecumenico, tra ortodossi, cattolici, sono rimasti uguali; a livello di autorità, cioè a livello alto, e i problemi economici, anche, sono rimasti, però per i cattolici è stato un grande segno di stima da parte del Papa venire in Georgia, per questo piccolo gruppo di cattolici. Cioè, è stato un sentirsi grandi per i cattolici che erano praticamente spariti, invece così hanno ritrovato un po' della loro identità. Io ho visto un grande risultato dopo, tra la gente che ha iniziato a vedere diversamente, anche gli ortodossi, perché in molti vennero agli eventi. Anche adesso trovo qualcuno che ancora mi dice: quella volta per me è stato un momento bello. Cioè, la società, secondo me, ha ricevuto questo qualcosa che ha fatto guardare più in là. C’è stato anche il vedere un Papa sofferente, ma ha fatto capire alle persone che ci sono dei valori così grandi per cui si può soffrire, si può dare la vita. Io credo che sia questo l'insegnamento di ogni persona religiosa che accetta di vivere con sofferenza il suo momento. E questo ha entusiasmato.

Secondo lei, questo viaggio apostolico ha contribuito a favorire, incoraggiare, il dialogo tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa georgiana?

Sì, certamente ha contribuito, anche se non si sono viste cose concrete, però per gli uomini di Chiesa ci vogliono i tempi per costruire. Il contribuire non è quando arriva un risultato tangibile e perfetto. Il contribuire è anche quando si danno le direzioni, quando si fa vedere che ci si crede, quando si fa un passo, quando si dice “io ho fatto il primo passo, adesso tocca anche a te fare un secondo passo”. Cioè, il contribuire è fatto di tanti momenti. Per me è stato un viaggio che ha contribuito. Qualcuno dice: ma i viaggi così non è che servano tanto. Per me sono molto importanti, perché continuamente vengono richiamate le direzioni fondamentali che dobbiamo avere come cristiani. Inoltre, i miei legami con il Patriarcato sono stati più semplici. Cioè, io andavo più spesso nel Patriarcato a parlare. Non sono i risultati concreti che dicono l'importanza di un viaggio, sono le direzioni che il viaggio mostra che sono importanti per la vita cristiana. C’è stato anche il viaggio di Papa Francesco che anche ha aiutato. La scelta del Papa di andare in Georgia era diventata un segno per tanti altri Paesi verso un'attenzione al dialogo ecumenico. Ancora non è possibile Mosca, però è possibile incontrare tutte le altre Chiese ortodosse, laddove è possibile farlo.

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10 novembre 2024, 10:00