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“Padre Dall’Oglio”, il docu-film su un uomo davvero libero

Sarà proiettato domenica 17 novembre al cinema Adriano di Roma, il documentario di Fabio Segatori che racconta la storia del fondatore della comunità di Mar Musa, in Siria, Paese dal quale il gesuita è scomparso nel 2013. Un intreccio tra racconto e testimonianze che mostra la sua figura di uomo del dialogo e dell’ascolto

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

È un regalo che arriva nel giorno del 70.mo compleanno di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita scomparso a Raqqa, in Siria, il 29 luglio 2013. Domenica, 17 novembre, infatti presso il cinema Adriano di Roma è prevista la proiezione del docu – film di Fabio Segatori che il 19 sarà replicato al cinema Palestrina di Milano e poi il 22 novembre trasmesso su Rai tre alle 16.10. Un regalo per padre Paolo ma soprattutto per chi lo ha apprezzato in passato, per chi è rimasto affascinato dalla sua forte personalità, dal suo credere ostinato nel dialogo e nella convivenza tra le diverse confessioni religiose in Siria. 

Padre Paolo Dall'Oglio in Siria
Padre Paolo Dall'Oglio in Siria

“Lavorare per un buon vicinato”

“Un uomo libero”: lo definisce il regista che da anni lavora a questo progetto con l’appoggio della famiglia del gesuita e che, dal 2013, chiede sia fatta luce piena sulla vicenda del rapimento di padre Paolo da parte dell’Isis. Fabio Segatori è un regista da sempre alla ricerca di storie fuori dal comune, attento ai temi del trascendente. Nel 2020 ha vinto il Festival Sacrae Scenae con “Lo sguardo di Rosa” sulla macchina di Santa Rosa, patrona di Viterbo, girato con 15 telecamere.

L'intervista a Fabio Segatori

Come nasce l'interesse per la figura di Padre Paolo Dall’Oglio?

Alcuni anni fa, nel 2016, ho finito un film su Gerardo Guerrieri, un grande dimenticato dello spettacolo italiano e la vedova di Gerardo Guerrieri, Anne d'Arbeloff Guerrieri, donna fantastica morta recentemente a 96 anni, la mia migliore amica, mi disse che avevo tante cose in comune con Paolo Dall'Oglio e che quando sarebbe tornato dalla Siria me lo avrebbe fatto conoscere perché sembravamo fratelli. E questa cosa che mi disse mi è rimasta dentro. Io chiamai dopo un po’ Francesca Dall'Oglio per dirle che avevo intenzione di fare un documentario su Paolo e lei mi disse di aspettare perché c'erano ancora delle trattative in corso. Era una situazione delicata sulla possibilità di un suo rientro. Poi sono passati gli anni e nel frattempo ho fatto un film su Emilio Lussu, un altro grande dimenticato, un altro grande generoso che ha lasciato perdere i propri interessi personali e ha fatto di tutto per creare una Italia più bella, più democratica, un politico che ha regalato la casa ai poveri del Paese, tanto per far capire la sua caratura. Tendo sempre a valorizzare figure fuori dal coro e italiani diversi dal modello Alberto Sordi. Alla fine ho invitato Francesca Dall'Oglio alla proiezione alla Camera dei deputati, ci siamo conosciuti e lei ha consentito a lavorare al progetto che dura da due anni. Ho fatto 33 interviste ma naturalmente cercare di essere semplici è la cosa più complicata, c'è voluto molto tempo.

Anche perché è molto complicata la vicenda di padre Paolo soprattutto per quanto riguarda l’ultima parte della sua vita, quella di cui conosciamo poco, e che in un certo modo può offuscare tutto il bene fatto in Siria e il suo grande contribuito al dialogo interreligioso…

Paolo, uso il presente non a caso, è un uomo libero e quindi come tale non rispetta gli steccati, le appartenenze, non fa giochi di posizione, non ama le contrapposizioni e quindi come tale è difficile incasellarlo. È libero fino alla fine, anche quando è scoppiata la guerra civile in Siria, lui ha sentito di mettersi dalla parte dei più deboli, delle persone che manifestavano a petto nudo per far vedere che erano disarmati, è una persona libera, bella. Il mio assistente, lavorando al montaggio, mi ha detto che non stavamo raccontando la storia di un prete, ma la storia di uno che è anche prete e che è soprattutto un uomo libero, un uomo che sta dalla parte della giustizia. È un uomo che spende tutto quello che ha e anche più di quello che ha fino ad arrivare a sacrificare la propria vita per gli altri, per il dialogo. Una cosa mi ha impressionato nella sua disarmante semplicità, tra le tante parole bellissime di Paolo, lui diceva che noi dobbiamo lavorare semplicemente per un buon vicinato. È un suggerimento per ognuno di noi, nei condomini, nella vita di tutti i giorni, nei supermercati, nella vita banale che ognuno di noi conduce, sarebbe molto bello se uno avesse uno spirito d'animo positivo, aperto, di ascolto nei confronti dell'altro.

Vocazione al trascendente e deserto: sono due tue peculiarità che si ritrovano anche in padre Paolo. Questa connessione così forte ti ha condizionato nel fare un film documentario su di lui?

Qui entriamo in un campo anche abbastanza misterioso e anche bello. Per questo non lo so. Nel senso che io sento da sempre un'attrazione verso il deserto. C'era un poeta mistico tedesco del Cinquecento che diceva: “in un deserto io voglio andare”. C'è qualcosa che attrae in questa riduzione all'essenza della vita, del paesaggio, dell'orizzonte e che è una cosa che io sento profonda da sempre e che mi ha spinto a leggere fin da ragazzo i testi della mistica orientale, occidentale. Questa passione è diventata quasi un'ossessione, per cui a 25 anni ho organizzato una spedizione con i miei soldi in Cappadocia per fare un film sul deserto e sulle civiltà paleocristiane che si nascondevano sottoterra per sfuggire alle carneficine. Lì ho realizzato un film mistico sul deserto su un testo di un grande poeta cristiano San Giovanni della Croce ma nella colonna sonora c'erano i muezzin. Mi sembrava molto bello questo contrasto, uno strano contrasto considerando che stiamo parlando del 1987, e da allora questo cercare un punto di contatto tra il cristianesimo e il mondo islamico è stato un po’ una guida negli anni successivi che mi ha portato poi a interagire con Franco Battiato, abbiamo fatto un progetto che ancora non è completato. È nata questa passione questa curiosità, questa ossessione, questo filo cominciato nel 1987 e che prosegue con questo film sul padre Paolo, tanto è vero che le immagini del deserto che aprono il documentario sono tratte proprio da quel film che girai nel 1987 in Turchia.

Il docu film si articola anche attraverso delle interviste ai suoi familiari, ai primi confratelli religiosi, a teologi cristiani e musulmani, giornalisti. Hai scoperto una parte di padre Paolo che ti ha fatto maggiormente riflettere o che comunque non pensavi potessi scoprire?

È stato un lungo viaggio, è durato anni. La figura di Paolo è talmente forte, talmente importante e talmente denso lo spessore delle persone che hanno interagito con lui, che lo hanno seguito nel deserto, sono tutte persone molto colte, tutte persone che hanno lavorato molto su loro stesse e che a un certo punto della loro vita hanno mollato tutto e sono andate a vivere nel deserto, tra queste c’è Elena Bolognesi, la sua prima seguace, che lavorava in Fininvest. A 21 anni ha mollato tutto a Milano ed è andata a vivere sette anni nel deserto, unica donna tra gli uomini. Sono vite possibili nella contemporaneità. Questa è la cosa clamorosa e inedita, nel senso che se non la racconti non esiste. Quindi soprattutto penso ai giovani che hanno questi modelli degli influencer, di una realtà parallela che è il web che sembra essere più importante e più attraente della realtà vera, fisica. Loro non sanno che si può anche vivere in modo eroico. Questa è un'epoca nella quale non è vietato osare per fare una vita eroica e questo bisogna dirlo, perché non si vive solo di cantanti, di attori, di influencer, di fashion stylist, di chef che sono i modelli offerti ai ragazzi di oggi. Io sono democratico e tollerante va bene tutto, sono anche anticonformista, mi piacciono le cose strane, non sono un bacchettone, ero punk da ragazzo ma è necessario dare spazio anche a chi spende la vita per gli altri. Esistono anche quelli. Esiste anche questa possibilità per i ragazzi di spendere la propria gioventù in modo diverso. Paolo Dall'Oglio scopre il deserto della Siria, un monastero abbandonato e cosa fa? Chiama i suoi amici, erano gli anni 80, e chiede quell’estate di andare a dargli una mano per rimettere in piedi quel luogo. I ragazzi che fanno? Partono da Roma e vanno a sollevare le pietre insieme a lui, a sporcarsi le mani, a tirare su un tempio in mezzo al deserto. Che ci guadagnano? Sono speciali, si fanno i selfie, no? A parte che non esistevano evidentemente ma non è una storia medievale, è la storia di un nostro fratello maggiore. È una storia clamorosa per raccontare la quale ho fatto un lungo lavoro di studio e per arrivare alla fine a pensare che la cosa più potente per raccontare questa storia fossero le facce e le parole delle persone che l'hanno vissuta. Il volto umano come il paesaggio migliore che racconta in modo eloquente attraverso le emozioni attraverso i primi piani che cosa è stata questa esperienza, questa avventura.

Il monastero di Mar Musa
Il monastero di Mar Musa

Si ringrazia per le foto e il video la produzione Baby Film 

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14 novembre 2024, 16:12