La chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza La chiesa cattolica della Sacra Famiglia a Gaza

Alistair Dutton: nel dramma della guerra, la speranza dei palestinesi cristiani

Di ritorno da una visita in Terra Santa, il segretario generale di Caritas Internationalis parla ai media vaticani dell’impatto disumano del conflitto in atto e della resilienza dei cristiani che vivono nella terra di Gesù. Dutton sottolinea il bisogno urgente di un’azione internazionale per promuovere la pace in tutto il Medio Oriente e fermare la carneficina a Gaza

Stefanie Stahlhofen - Città del Vaticano

“La speranza è fragile ma viva” tra i cristiani palestinesi in Cisgiordania e a Gaza che, in mezzo al conflitto e ad una gravissima crisi umanitaria, si aggrappano alla fede e al loro legame con la Terra Santa. È quanto afferma, in questa intervista a Radio Vaticana - Vatican News, Alistair Dutton, segretario generale di Caritas Internationalis, rientrato da un viaggio in Terra Santa. Caritas Internationalis sta lavorando instancabilmente per portare aiuti essenziali, come cibo, medicine e sostegno psicologico a comunità devastate dalla violenza. Tuttavia, l’accesso degli aiuti umanitari - sottolinea Dutton - continua a essere quasi impossibile e l’aggravarsi della situazione lascia molte persone senza beni essenziali. Di seguito, pubblichiamo alcuni stralci dell’intervista. Qui si può leggere il testo integrale in inglese.

Alistair Dutton: a Gaza una carneficina disumana  

Sono stato felice di poterci tornare (in Terra Santa) un paio di settimane fa, quasi esattamente nell’anniversario della mia ultima visita. Mi ero recato lì un mese dopo gli attacchi contro Israele e la risposta a Gaza. È stato molto triste vedere come si è evoluta la situazione e constatare il livello della carneficina, così sproporzionata e disumana, che continua oggi a Gaza. Questa volta sono stato solo in Cisgiordania. Non è possibile entrare a Gaza. La Cisgiordania sembra stranamente tranquilla e molto repressa, controllata e intimidita. Sono arrivato fino a Jenin, nel nord della Palestina, dove mi sono fermato la notte con il team della Caritas locale. Penso che per loro sia stato un momento importante. Era forse la prima volta che qualcuno si era recato lì per trascorrere del tempo con loro. Per le persone che si sentono totalmente isolate a causa di questa guerra - tagliate fuori dalla loro vita normale, dal loro lavoro, prima lavoravano sul lato israeliano e hanno tutti perso il lavoro, e con la pressione e la repressione dell’attività israeliana lungo il confine - per queste persone è stato molto importante avere qualcuno che stesse lì con loro, semplicemente per solidarietà e compassione.

Una lotta per la sopravvivenza

È sempre un grande privilegio e motivo d’ispirazione vedere il lavoro della Caritas e anche il modo in cui opera nelle comunità locali, cercando di aiutare le persone a sopravvivere: è tutta una lotta umanitaria per la sopravvivenza. Ma il pensiero che occupa la mente dei palestinesi che ho incontrato è: “Come posso continuare a costruire un sogno per il futuro?”. Quindi: “Come sopravviviamo oggi, ma come farlo in un modo che ci dia davvero un futuro qui in Medio Oriente?”. Abbiamo visto tante persone andarsene. Il numero dei cristiani si è talmente ridotto che, di fatto, pensano costantemente a come trovare un modo per continuare a essere presenti in Terra Santa e in Medio Oriente in generale.

Far entrare gli aiuti a Gaza è quasi impossibile

Guardando ad alcune aree della Cisgiordania e particolarmente a Gaza, la situazione è assolutamente brutale, vediamo disumanità e brutalità ...  Mentre ero lì ho parlato con padre Gabriel, che è il sacerdote della chiesa cattolica a Gaza, e con uno dei nostri operatori sociali a Gaza. È incredibile come continuino ad andare avanti giorno dopo giorno. C’è questo grande senso di servizio e di cura per la loro gente e fanno tutto ciò che possono... Ma al momento è molto difficile. Far entrare qualsiasi cosa a Gaza è quasi impossibile. Abbiamo dei team che stanno lavorando duramente, team di Caritas Gerusalemme e di Catholic Relief Services. Ma nonostante tutti i loro sforzi, nel mese che ha preceduto la mia visita sono riusciti a fare entrare solamente sei camion, e questo solo in strettissima collaborazione con i soldati americani e quelli israeliani per superare tutte le restrizioni. Dobbiamo ricordare che prima degli attacchi [del 7 ottobre 2023] ogni giorno entravano 500 camion. Nell’ultimo mese sono riusciti a farne entrare solo sei. Alle famiglie sono state portate attrezzature davvero basilari, di modo che possano dormire la notte e cucinare.

La speranza cristiana

Una delle principali cose che ho notato nei palestinesi, in particolare nei cristiani palestinesi in Cisgiordania, è la reale necessità e la sete di aggrapparsi alla speranza, per mantenere il senso della loro vita nella propria terra. Ciò che vedo è che traggono grande forza dalla loro fede, dai racconti della Bibbia. Una delle cose importanti che possiedono, naturalmente, è sapere che la loro terra è quella dove “tutto” è avvenuto. Un giorno, mentre mi trovavo lì, mi hanno semplicemente detto: “Abbiamo una sorpresa per te”. Siamo entrati in una chiesa ed era quella in cui è avvenuta la guarigione dei dieci lebbrosi. Ed è tutto proprio davanti alla loro porta di casa. La Caritas ha un team a Betlemme. Quindi, il luogo in cui è nato Cristo è dove abbiamo uno dei nostri team più grandi. Penso che traggano una forza immensa dalla vicinanza fisica ai luoghi di quei racconti e dal Vangelo della speranza.

La Caritas ha aiutato oltre un milione e mezzo di persone

La Caritas è operativa da prima degli attacchi e anche dopo gli attacchi. Inutile dire che dentro Gaza in particolare, ma a volte anche in Cisgiordania, è stato incredibilmente difficile. Ho appena spiegato quanto sia difficile far entrare i camion con gli aiuti, e quindi al momento a Gaza le provviste sono quasi pari allo zero. Ciononostante, ci sono sempre i nostri team sanitari che sono impegnati a cercare di aiutare la gente. Le forniture mediche sono una grande preoccupazione. Negli ultimi 13 mesi, da quando ci sono stati gli attacchi, abbiamo raggiunto più di 1,6 milioni di persone con la nostra risposta all’emergenza: a Gaza, a Gerusalemme, in Cisgiordania. Significa salute, sostegno alimentare e le attrezzature di base per aiutare le persone: letti, pentole e padelle, cose per cucinare e mangiare, sostegno per la salute mentale e psicologica, riparo, alcuni kit per l’igiene, qualche provvista d’acqua. Attraverso i nostri team stiamo facendo tutto ciò che ci è possibile fare. Tuttavia, la situazione rende estremamente difficile l’accesso umanitario ed è qui che la comunità internazionale deve davvero iniziare a prendere sul serio le sue responsabilità secondo il diritto internazionale e far sentire la sua pressione affinché la gente non soffra in maniera così vergognosa.

Questa guerra sta creando i combattenti di domani

Deve assolutamente esserci un cessate il fuoco. La guerra non fa che ferire tutti e sta paralizzando l’economia d’Israele. Non stanno soffrendo solo i palestinesi. Questa situazione sta producendo generazioni di disturbi psicologici, che non faranno altro che creare i combattenti per le generazioni future. Dobbiamo porre fine alla fornitura di armi, che non fanno altro che causare più morte. Chi oggi sta armando Israele non fa altro che impedire che ci si avvicini a un cessate il fuoco.

Liberare gli ostaggi israeliani e i palestinesi detenuti arbitrariamente

Dobbiamo parlare di ostaggi e di quanti sono detenuti da entrambe le parti, perché ci sono anche tanti palestinesi detenuti arbitrariamente. Gli ostaggi devono essere assolutamente rilasciati. C’è anche il rispetto del diritto internazionale. Abbiamo un Tribunale Penale Internazionale e abbiamo anche un diritto umanitario internazionale che dice che le persone hanno il diritto di ricevere assistenza.

Uccisi anche i nostri operatori

Per quanti di noi stanno cercando di fornire assistenza, farlo è quasi impossibile e ben lungi dall’essere sicuro. Quest’anno sono stati uccisi due membri del nostro staff e molti loro familiari. La settimana prima della mia visita, due dei nostri medici si trovavano in ospedale perché erano da poco stati feriti e tutti i loro familiari – mi pare una dozzina di persone - sono stati uccisi in un attacco diretto contro una chiesa. In questa guerra a essere presi di mira sono anche gli operatori umanitari che cercano di portare assistenza umanitaria.

Tregua precaria in Libano

Sono stato in contatto con i nostri colleghi in Libano e condivido la loro speranza, come anche la speranza di cui ha parlato Papa Francesco che questo (cessate il fuoco) possa essere in qualche modo un segnale, un passo verso la pace in Medio Oriente. Devo dire che il cessate il fuoco oggi è molto, molto precario. Ci sono stati attacchi e persone uccise nel sud del Libano nonostante il cessate il fuoco e ci si domanda quanto reggerà. Spero sinceramente che continui a reggere e che da qui possano fare un passo indietro. Non basta il triplice fischio per far terminare subito la guerra.  Quindi mi auguro che il cessate il fuoco regga. Detto ciò, non vedo una via che si traduca direttamente nella pace per Gaza.

Situazione disumana anche in Siria

Abbiamo visto gli attacchi lanciati in Siria e non posso fare a meno di pensare che il tempismo di tutto sia ben lungi dall’essere una coincidenza. L’attacco contro Aleppo è iniziato il giorno stesso in cui è stato annunciato il cessate il fuoco. La Siria ad oggi ha vissuto 14 anni di guerra e poi il terremoto. Ora la gente sta fuggendo da Aleppo e da Hama per mettersi in salvo. Sono stato lì a gennaio: è un Paese al quale dopo la guerra non è stato permesso di ricostruire. L’effetto delle sanzioni sta completamente paralizzando il Paese, lasciandolo letteralmente tra le macerie. A gennaio ho percorso una strada che avevo percorso otto anni prima. Che Dio benedica quella gente. Tiene quella strada pulita meglio che può. Ma questo significa solo che le macerie sono ammassate al lato della strada e ci spazzano intorno. La Siria negli ultimi sette-otto anni, dopo la pace, è stata tenuta in una situazione disumana a causa delle sanzioni, e ora ci sono questi attacchi. Si può vedere che in gran parte ci sono forze molto al di là del Medio Oriente che ora stanno mostrando i muscoli e sgomitando per conquistare posizione e potere. Quando combattono gli elefanti, a soffrire è l’erba.

 

 

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06 dicembre 2024, 13:00