Il capo dei vescovi polacchi: il Natale sia l’inizio di un tempo nuovo per l'Ucraina
Svitlana Dukhovych - Città del Vaticano
“Tutti mobilitati”. Perché l’orrore a due passi da casa non poteva lasciare indifferenti. L’arcivescovo metropolita di Danzica Tadeusz Wojda spiega così la straordinaria onda di solidarietà che dalla Polonia si è mossa verso l’Ucraina fin dallo scoppio del conflitto, giunto ormai quasi alla soglia dei tre anni. Dai due milioni di sfollati che hanno attraversato il confine all’inizio dell’invasione russa, le stime parlano attualmente di un milione e mezzo circa di ucraini che hanno trovato in terra polacca un nuovo tetto, tanti un lavoro, un modo di ripartire. E questa generosità cerchiamo sempre di “alimentarla”, assicura il presidente della Conferenza episcopale della Polonia ai media vaticani, augurandosi che le feste del Natale portino finalmente la pace.
Quale impatto hanno avuto gli eventi tragici legati alla guerra in Ucraina sulla vita della Chiesa in Polonia?
La prima cosa che bisogna dire è quello che tante volte diceva ancora Giovanni Paolo II e anche Papa Francesco che ogni guerra è una sconfitta dell'umanità. Credo sia proprio questo il modo con cui bisogna guardare alla guerra ancora in atto in Ucraina e che dovrebbe finire. Ovviamente come tutte le guerre, suscita in qualche modo da una parte indignazione, rabbia, dall'altra sensibilità e umanità. E per quanto riguarda la Chiesa è soprattutto la sensibilità verso le persone che soffrono per questo conflitto e che hanno vissuto sulla propria pelle vari drammi. La guerra, ovvio, causa morti, distruzione, e dunque la Chiesa in Polonia - ma credo anche in tutta l’Europa - ha vissuto questo tempo come un grande dramma nel quale però ha cercato davvero di portare aiuto. Io posso parlare in modo particolare della Chiesa in Polonia, che si è immediatamente organizzata per fornire vari tipi di sostegno. E devo dire che sin dal primo momento, tutti i fedeli, le diocesi, le parrocchie, i sacerdoti, i religiosi, praticamente tutti si sono mobilitati per raccogliere fondi e metterli a disposizione di chi ne aveva bisogno. Questi aiuti sono coordinati in modo particolare da monsignor Edward Kawa [si tratta del vescovo ausiliare dell'arcidiocesi di Lviv dei latini, responsabile degli aiuti umanitari che arrivano dalle organizzazioni legate alla Chiesa cattolica - ndr]. So che sono centinaia di migliaia i Tir partiti con generi alimentari, prodotti vari per l’igiene e altre cose di prima necessità. Sappiamo che siamo ormai al terzo inverno di guerra, quindi anche per questo nelle parrocchie e nelle diocesi sono stati raccolti grandi aiuti finanziari con cui sostenere la gente.
Un’altra grande risposta è stata l'accoglienza dei profughi. Dall'inizio della guerra in Polonia forse anche in più di 2 milioni hanno attraversato la frontiera, accolti nelle parrocchie, nelle canoniche, nelle case per esercizi spirituali, anche nelle famiglie… Ovunque si poteva dare ospitalità, lo si è fatto. Col tempo molti ucraini sono partiti per altri Paesi occidentali, alcuni anche per la Scandinavia. Attualmente, secondo le informazioni che abbiamo, gli sfollati in Polonia sono circa un millione e mezzo, forse meno. Una buona parte di loro sono quelli che si sono ormai stabiliti, avendo trovato un un lavoro. Chi voleva, poteva ricevere il PESEL cioè la registrazione statale [in polacco “Powszechny Elektroniczny System Ewidencji Ludności”, ovvero “Sistema elettronico universale per la registrazione della popolazione” - ndr] e potevano ricevere anche sostentamento economico da parte dello Stato. Anche i ragazzi possono frequentare la scuola.
Secondo Lei, quali sono state le ragioni profonde di questa risposta così generosa, dell’accoglienza dimostrata dal popolo polacco nei riguardi dei loro vicini?
Più di una volta ho potuto constatare che quando accadeva qualcosa, per esempio qualche disastro naturale, la gente si mobilitava immediatamente. Qui c'era una guerra e la maggior parte di noi sa cosa voglia dire, ci sono ancora tante persone che hanno vissuto la Seconda Guerra mondiale. Questo quindi è stato uno dei motivi. Poi le immagini e le notizie dall'Ucraina, della distruzione, dell'odio da parte dell'aggressore, di quelle uccisioni terribili: questo ha fatto sì che la gente si sia sentita coinvolta e di voler aiutare la gente. La risposta è stata magnifica, questo lo devo dire, sotto tutti i punti di vista e questo è bello perché ci siamo sentiti come fratelli e sorelle uniti dalla necessità di affrontare lo stesso dramma.
A tre anni quasi dall’inizio della guerra, quali sono le iniziative principali messe in campo dal vostro episcopato per aiuatre chi sta soffrendo?
In più di una occasione abbiamo sostenuto la necessità di portare aiuto, cercando sempre di mantenere viva l’attenzione alla solidarietà. Abbiamo anche sempre pregato tanto nelle parrocchie per dire: “Guardate, bisogna continuare ad aiutare il popolo ucraino”, e dunque anche così cerchiamo di sensibilizzare alla generosità e alimentarla.
Come si sono sviluppati i rapporti con le Chiese in Ucraina in questo periodo?
Penso che i rapporti siano buoni. Ci sono state varie visite da una e dall'altra parte. L’anno scorso la presidenza della Conferenza episcopale polacca è andata in Ucraina per vedere la situazione. Ci sono vari rapporti praticamente con tutte le Chiese, ma in modo particolare con la Chiesa romano-cattolica e con la Chiesa greco-cattolica. Adesso siamo a Natale, che è festa di speranza, festa di gioia, festa che ci parla di quel Dio che viene per essere con noi, per portarci la pace, la serenità, la bontà. Il mio augurio è che questo periodo sia veramente principio di qualcosa di nuovo, soprattutto l'inizio della pace di cui gli ucraini hanno tanto bisogno. E auguro di cuore che questa pace arrivi, che finisca la guerra, che la gente ricominci a ricostruire le proprie famiglie, la vita normale, e che il Signore benedica tutti.
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