Rebibbia, il cappellano: il Papa dona speranza, dopo la Porta Santa non cali l'attenzione
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Sarà la quindicesima volta che Papa Francesco visita un istituto di pena, il prossimo 26 dicembre, quando - per la prima volta - un Pontefice aprirà la Porta Santa nel carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Questa volta il Papa si recherà come “pellegrino di speranza”: un sentimento troppo fragile, in carcere, dove va coltivato con amore e dedizione anche con l’aiuto degli operatori e dei cappellani, dato l’esiguo numero dei colloqui con gli affetti rimasti fuori. È sempre alta l’attenzione che il Pontefice ha per i detenuti: tra quelli ospitati a Rebibbia Nuovo Complesso era già stato il Giovedì Santo del 2015 per il rito della Lavanda dei piedi: “I detenuti aspettano il Papa con gioia perché sentono la sua vicinanza, esattamente come, al contrario, percepiscono la propria lontananza e il proprio distacco dalla società – racconta ai media vaticani padre Lucio Boldrin, cappellano della struttura – porsi tra la gente come fa il Santo Padre risponde al bisogno di un mondo in cui le persone si fanno sempre più lontane nonostante i social che forniscono una prossimità fittizia”.
Attenzione ai detenuti per tutto l’Anno Santo
La speranza è anche uno dei temi centrali del Giubileo 2025 che non deve fermarsi, per i ristretti di Rebibbia, al giorno dell’apertura della Porta Santa, è l’auspicio del cappellano: “Dobbiamo impegnarci tutti a ‘prolungare’ lo spirito della visita del Papa per tutto l’Anno Santo – spiega – noi cappellani, ad esempio, ci siamo messi a disposizione del detenuti e delle loro famiglie e saremo presenti tutte le mattine presso la chiesa del Padre Nostro che è vicina all’area colloqui, per chiunque volesse attraversare la Porta Santa e ottenere così l’indulgenza plenaria, ma anche per chi volesse confessarsi o avesse qualunque altro bisogno spirituale”.
Il dramma dei suicidi, un grido per dire: Aiutatemi, io esisto!”
Alla giornata con Papa Francesco ovviamente non potranno essere presenti tutti i detenuti perché il loro numero è sempre altissimo: “Il sovraffollamento è un problema serio che si trasforma in non rispetto per l’uomo: in celle di 9 metri quadri si possono trovare fino a sei detenuti tra i 21 e gli 85 anni e con un unico bagno”, prosegue padre Lucio. Un altro problema grande è la lontananza dagli affetti perché molti detenuti sono stranieri o comunque le loro famiglie vivono lontano dall’istituto: “Il silenzio che progressivamente, durante la detenzione, aumenta intorno a loro, è una nuova pena – afferma il cappellano – e poi c’è la paura di uscire dal carcere e trovarsi nella solitudine, specie per chi ha scontato condanne più lunghe. L’aumento dei suicidi si deve anche a questo, e poi non dimentichiamo gli almeno duemila detenuti che hanno tentato di togliersi la vita e i molti atti di autolesionismo che sono un grido che dice: ‘Aiutatemi, io esisto!’”.
La speranza in carcere? La fede in Dio e il lavoro
Il cappellano racconta anche del lavoro quotidiano che si fa per donare speranza ai detenuti nel futuro, coinvolgendo la Caritas e gli imprenditori del territorio, affinché offrano opportunità di formazione e lavoro e alloggi temporanei per chi arriva al fine pena: “Sono armi per combattere l’indifferenza: grazie al lavoro i detenuti escono in permesso per poi rientrare in carcere la sera, alcuni rientrano in famiglia e così pian piano ricostruiscono la propria vita. Il lavoro è dignità per tutti, non solo per chi è dentro!”. A Rebibbia come negli altri istituti italiani, poi, c’è una grande presenza di stranieri, qui è pari al 35%: “Il problema principale da affrontare con loro è quello della lingua – conclude padre Boldrin – da un punto di vista religioso ho sempre trovato un grande rispetto. Ultimamente c’è un giovane arabo di 22 anni che durante una mia omelia a Messa ha chiesto perché alcuni potenti si ostinano a fare la guerra che distrugge tutto, a partire dal futuro delle prossime generazioni. Questo ragazzo arabo mi ha lasciato senza parole quando mi ha detto: siamo tutti figli dell’unico Dio!”.
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