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Storie di Speranza

Betlemme, l'agricoltore Daoud: io mi rifiuto di odiare, rifiuto la logica del nemico

A colloquio con la famiglia Nassar, fondatrice della fattoria Tent of Nations. Il proprietario dell'azienda, cristiano palestinese, racconta quanto sia esposta da decenni alle intimidazioni dei coloni israeliani e di come promuova una resistenza non violenta grazie a volontari che arrivano da ogni parte del mondo: Giubileo significa cambiamento, che una nuova era comincia. Spero porti giustizia e pace nella nostra regione

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Essere fraterni. È più facile dalle proprie comfort zone, meno quando si vivono in prima persona situazioni reiterate di ingiustizia, sopruso, violenza. Dai pressi di Betlemme, la testimonianza di Daoud Nassar e della sua famiglia è la prova che, quando tutto concorre a reagire con spirito di vendetta, si può tuttavia imbracciare la strada del dialogo, della resistenza pacifica, incarnando lo stile autenticamente evangelico di Gesù che su quella terra ha camminato, insegnato, guarito. 

Spezzare le catene della violenza e la strategia del nemico

Nato a Betlemme nel 1970, palestinese cristiano di rito luterano, ottavo di 9 figli, Daoud è adolescente durante la prima intifada. Nella sua città si laurea in Economia Aziendale e consegue un diploma post laurea in Gestione del turismo internazionale in Germania. Tornato a Betlemme, lavora nella fattoria di famiglia, nel contesto della seconda intifada. Sposato con Jihan e padre di tre figli, oggi è responsabile del progetto «Tent of Nations» nella sua azienda agricola, situata a 9 chilometri a sud di Betlemme e che insiste su un'area collinare attorniata da insediamenti appartenenti al distretto di Gush Etzion. Negli ultimi tempi è diventata tappa di numerosi pellegrinaggi in Terra Santa, con migliaia di visitatori all’anno e centinaia di volontari internazionali: da qui infatti si irradia una energia di vita che vuole spezzare il circuito sfibrante della violenza e lanciare una una proposta audace di speranza contro ogni speranza.

Daoud Nassar saluta Papa Francesco all'udienza generale in Vaticano
Daoud Nassar saluta Papa Francesco all'udienza generale in Vaticano

La difesa della terra 

Abbiamo incontrato Daoud, con la moglie e la figlia Shadin, a Roma a fine novembre, all'indomani di un breve saluto che avevano potuto scambiare con Papa Francesco nell'udienza generale in piazza San Pietro e che preludeva a un incontro nella chiesa di Sant'Ignazio con una cittadinanza attenta, curiosa, partecipe ed entusiasta di ascoltare una storia dolorosa ma al contempo molto luminosa. È la storia, di più di un secolo, dell'azienda sorta in Cisgiordania tra Betlemme ed Hebron su un terreno acquistato dai Nassar nel 1916. Nonostante il muro di separazione e la colonizzazione che avanza, ha cercato fin dalle origini di promuovere un clima di amicizia. Negli anni Novanta il governo israeliano dichiara il terreno di proprietà dello Stato d'Israele: è l'inizio di una causa tutt'ora in corso mentre non si contano, l'ultimo solo alcuni giorni fa, gli episodi intimidatori come decine e decine di massi lasciati per lo sbarramento delle strade di accesso.

L'implicito incentivo a trasferirsi altrove non viene raccolto dalla famiglia Nassar che si aggrappa alle vie della legalità. Intanto continuano i divieti di costruire nella fattoria, di fabbricare sistemi di canalizzazione dell’acqua e di portare energia elettrica. Per la coltivazione delle piante si raccoglie l’acqua piovana in cisterne, mentre per l’uso domestico viene acquistata. L’elettricità è ottenuta tramite pannelli solari installati grazie alle preziose donazioni di volontari stranieri. 

La rete di confine della fattoria
La rete di confine della fattoria

"Rifiutiamo di essere nemici"

“We refuse to be enemies”  ["Rifiutiamo di essere nemici"] è il motto di «Tent of Nations», progetto nato nel 2002 per essere segno di apertura proprio laddove la tentazione sarebbe stata quella di rinchiudersi nella rassegnazione e nella disperazione. La "strategia del nemico" è la più facile, spiega Daoud ai media vaticani, ma "io mi rifiuto di odiare, non voglio essere risucchiato in questa negatività, perché mi distrugge. Io voglio agire diversamente e non perché sono debole", racconta. La sua è una testimonianza considerata “pietra viva” nel mezzo dei conflitti che affliggono quella terra. Le confische continuano, le devastazioni degli alberi pure. La risposta è non farsi devastare interiormente: è in ballo "una questione di giustizia, noi viviamo una brutta situazione politica, siamo sotto occupazione, senza diritti sulla nostra terra". E scandisce che "prima di raggiungere la pace è necessario sradicare l’ingiustizia, abbiamo bisogno di gente che lavori per questo".

Testimoniare il Vangelo fuori dalla comfort zone

Daoud ha vinto numerosi premi per la difesa dei diritti umani e la promozione della pace. La sua opera passa attraverso il lavoro costruttivo, la valorizzazione delle peculiarità di ciascuno, la preghiera ecumenica e interreligiosa. "Dio ha creato il bene, il male lo ha creato l’uomo. Ciascuno è responsabile per le proprie azioni. Resistere è molto difficile e molte volte cadiamo, ci sentiamo soli. Eppure, di fronte a tutto questo io non voglio accettare di dire: è finita la storia. Noi siamo in grado di avere un futuro migliore, anche se non accadrà immediatamente". Osserva che la loro sofferenza "sta diventando una benedizione. Questa è la speranza. Moltissimi mi raccontano: mio figlio è venuto da voi per un periodo ed è tornato motivato… quindi, anche se viviamo in una situazione terribile noi dobbiamo pensare che possiamo aiutare altri. Questo ci dà speranza. Sì, molti dicono ‘basta’, io non voglio più far crescere i miei figli qui'. Io vorrei dire, come cristiani, dobbiamo essere testimoni e dobbiamo esserlo non solo in una situazione ‘normale’, in una comfort zone. Io posso restare nella terra dove sono nato e cresciuto e cercare di essere riflesso di Dio, nel mio lavoro per esempio". 

Lavoratori nell'azienda agricola dei Nassar
Lavoratori nell'azienda agricola dei Nassar

Attivare la speranza 

La fattoria nel tempo si è strutturata per offrire in tutto l’anno vitto, alloggio e servizi, grazie alle tende e agli appartamenti ricavati dalle grotte sulla collina. In inverno i volontari vengono ospitati nella casa principale. "Quando parliamo di speranza non parliamo di una condizione passiva, da vivere seduti. La nostra è una speranza attiva. Realizziamo dei campi con bambini in uno stato di grande miseria, senti che sarà veramente dura riportare loro un sorriso. Nei campi di rifugiati i loro occhi sono come ipnotizzati. Bisogna aprire loro delle nuove prospettive, delle nuove dimensioni. Noi lo facciamo lasciandoli disegnare, dipingere, musica, workshop. Così loro scoprono i propri talenti, esprimono i loro sogni, acquistano autostima. Perché il problema è proprio che loro non hanno sogni. Cerchiamo di parlare con loro ore e ore. Non ci si può sedere e aspettare - incalza Nassar - ognuno deve dare il proprio contributo".

Formare una leadership liberando i talenti

Shadin Narras, la primogenita di Daoud, una laurea in Diritto Internazionale e Diritti Umani, si adopera per campagne di advocacy e in progetti artistici e di scrittura creativa rivolti ai giovani locali per trasformare i traumi dell’occupazione dei territori in espressioni di ricostruzione interiore e dei legami. "Bisogna superare la mentalità di essere considerate vittime. I giovani sono assenti dai processi decisionali. Loro vivono troppo nell’incertezza. A Tent of Nations cerchiamo di spostare l’attenzione, creando una piattaforma in cui, attraverso la musica, il disegno, il teatro valorizziamo i nostri talenti", racconta. "Questa è una buona via per costruire anche dei job skills per la leadership. Così che loro siano consapevoli delle proprie lotte, e imparino da queste canalizzandole nella via del dialogo e della convivenza pacifica". Shadin descrive un lavoro grazie al quale si cerca di formare cittadini che sviluppino una capacità di racconto personale, non indotto. "Si tratta di trasformare le frustrazioni e i dolori in una una forza positiva per il bene personale e di tutta la comunità", sottolinea.

Ricorda anche lei quando aveva 14 anni e centinaia di alberi da frutto furono distrutti solo dieci giorni prima del raccolto. "Per tutti noi fu uno shock, per i ragazzi e le ragazze, perché è il periodo in cui veniamo chiamati a raccogliere. Avevano sporcato il nostro cuore. Ma sfruttando tanti volontari abbiamo piantato nuovamente il doppio se non il triplo di quelle stesse piante. È stato come ripiantumare la speranza". 

Ciascuno si dà da fare
Ciascuno si dà da fare

"Se non hai la pace nel cuore non puoi donarla"

I discepoli non rimasero chiusi nelle loro stanze, racconta ancora Daoud, ma uscirono per proclamare la buona notizia. Molti furono martiri. Noi dobbiamo continuare la loro opera, come fa il Papa. "Una ragazza una volta mi scrisse: 'il mio sogno è essere vivo'. Pensavo fosse uno scherzo, invece era proprio così. Era una dodicenne. 'Ma come, sei così bella… Lei disse piangendo che suo padre era stato ucciso quando era una bambina. Ogni cosa le appariva nera. Allora cambiai soggetto, le diedi una macchina fotografica e le dissi: 'adesso il tuo impegno sarà fare foto delle attività qui'. Lo fece, osservando tutto. Mi fu restituito che lei era cambiata, aveva realizzato che era capace di fare delle cose. Se la pace non ce l’ho nel cuore non la posso dare ad altri. Non posso promettere ai miei bambini ciò che non ho. La pace si fa costruendo ponti per capirsi l’un l’altro". 

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Alcune immagini di Tent of Nations
18 dicembre 2024, 14:20