Il cardinale Pizzaballa: ricostruire le relazioni tra persone in Terra Santa
Roberto Paglialonga - Città del Vaticano
I cristiani in Terra Santa si apprestano a vivere un altro Natale “sporcato” dalla violenza delle armi e condizionato dagli effetti devastanti della guerra. Tuttavia, “la nostra comunità, per quanto piccola (circa l’1,5%), non rappresenta una Chiesa morente, ma viva. E lo è perché ancorata alla speranza che risiede in Cristo: la speranza allora è un modo molto concreto di vedere il reale attraverso la fede e si realizza nelle tante opere straordinarie che moltissimi qui fanno per gli altri”. A parlare è il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei latini, in una conferenza stampa organizzata online da Aid to the Church in Need International (Acn) e intitolata, non a caso, “Cristiani in Terra Santa: un altro Natale senza pace?”.
Il contributo che può dare la comunità cristiana
Il cardinale, introdotto dalle rappresentanti dell’organismo, la presidente esecutiva, Regina Lynch, e la responsabile dell’ufficio stampa, Maria Lozano, ha aggiunto che “con questo forse non cambieremo gli aspetti macro-politici, ma possiamo sicuramente dare un enorme contributo nel piccolo e aiutare a cambiare le situazioni che ci stanno vicino”. Non è poco, in una regione nella quale “ormai è diventato quasi impossibile riuscire a parlarsi, mentre anche il dialogo interreligioso è ingolfato dalla diffidenza reciproca e il flusso delle relazioni è ostruito da tanti discorsi di odio”. In questo contesto ciò che i cristiani possono fare è proprio “impegnarsi per riattivare queste relazioni, sarà una delle grandi missioni per il futuro”.
Il 7 ottobre come un “punto di svolta”
Del resto, ha spiegato ancora il presule, “bisogna considerare che questa guerra – che non è certamente la prima in Medio Oriente e all’interno del conflitto israelo-palestinese – è molto differente dalle precedenti: è un vero punto di svolta, tanto che ormai si parla di un prima e di un dopo il 7 ottobre”. Essa sta avendo un impatto “enorme sulle coscienze e sul modo di pensare: è un trauma per gli israeliani, che non si sono sentiti più sicuri a casa propria e sentono di aver rivissuto la tragedia della Shoah; e lo è per i palestinesi, che ritengono di vivere in questi mesi una nuova Nakba”.
L’economia al collasso a Gaza e in Palestina
Inoltre, la sua virulenza e la sua durata stanno avendo ripercussioni drammatiche sulla popolazione: “A Gaza quasi nessuno lavora più e il 90% delle persone è sfollato. Si vive nell’emergenza, e non mancano solo cibo e medicinali, ma pure l’educazione scolastica. E’ una situazione economico-sociale vicina al collasso che tocca anche le terre cisgiordane della Palestina, che vivono grazie ai pellegrinaggi e al turismo religioso, oggi totalmente fermi”.
La forza della solidarietà
Nella parte dedicata alle domande al patriarca viene chiesto se la comunità cristiana si senta sola in questo momento. Pizzaballa risponde che “dal punto di vista politico, sì, c’è questa percezione, se non altro perché non c’è un’entità politica che ci supporti semplicemente come cristiani, ma neppure le grandi ong o le Nazioni Unite vedono i cristiani se non come semplice minoranza”. Dal punto di vista religioso, invece, “tutta la grande comunità cristiana ha mostrato la sua solidarietà, un sentimento che spesso si esprime anche nei rapporti con i membri delle altre religioni”. E nel momento in cui, oltre alle infrastrutture, occorrerà ricostruire anche le relazioni umane, “i cristiani avranno un ruolo fondamentale da giocare”. Per esempio, anche ora, “siamo tra i pochi a poter portare gli aiuti all’interno delle aree di guerra di Gaza, perché la nostra comunità vive sul territorio, conosce gli interlocutori, sa come operare ed è in grado di costruire network di solidarietà molto efficienti in cui tutti possono sentirsi coinvolti”.
I cristiani in Siria
La paura e la preoccupazione però rimangono. In questi giorni, in particolare per i cristiani della Siria e soprattutto della città di Aleppo. In tal senso, “dovremmo cercare di aiutare coloro che decideranno di rimanere nel Paese, così come a Gaza e in Palestina, perché la Terra Santa è la terra della rivelazione e la nostra fede è una fede storica: significa che la presenza delle nostre comunità lì vivifica la storicità della nostra fede”.
Le parole del Papa e la speranza di una tregua
Sulla prospettiva di una tregua tra Israele e Hamas nella Striscia, il patriarca esprime la convinzione che “il picco della guerra sia alle spalle" e che, quindi, si possa "coltivare la speranza che il cessate-il-fuoco in Libano abbia un contraccolpo positivo pure su Gaza”. Anche se “la fine delle operazioni militari non è la fine del conflitto, per la quale ci sarà bisogno di trovare una soluzione politica duratura e solida”. Oggi questa manca per "un’eccessiva aggressività in tutte le parti”. Nella parrocchia della Sacra Famiglia, le quasi 600 persone rifugiate sono sempre confortate dalle parole di Papa Francesco, che “chiama ogni giorno alle sette di sera”, e in questo periodo di di Avvento “dal desiderio di poter comunque celebrare la festa del Natale nel modo più normale e gioioso possibile, soprattutto per i bambini”.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui