Custodia di Terra Santa, 300 icone recuperate ed esposte a Gerusalemme
Roberto Cetera – Gerusalemme
Dai magazzini della Custodia di Terra Santa sono state raccolte negli ultimi mesi oltre 300 icone. Di alcune si era smarrita l’esistenza. Molte sono danneggiate o segnate dal tempo trascorso. Le più antiche vanno indietro al 1500. Di scuola bizantina, ma anche russa, siriaca e palestinese. Provengono soprattutto da doni che pellegrini illustri e monarchi portavano in Terra Santa. Ora la Custodia ha deciso di recuperarle dalla polvere dei magazzini, censirle, catalogarle ed eventualmente restaurarle. Le più importanti e più belle faranno mostra di sé nel nuovo museo di Terra Santa, che è in corso di allestimento all’interno del compound francescano di San Salvatore a Gerusalemme.
I due musei della Custodia
Una volta aperto saranno due i musei gestiti dalla Custodia. Uno per ciascun millennio grosso modo. Il primo, già in essere da qualche anno presso il convento della Flagellazione (che è anche sede dello Studium Biblicum Francescanum) che va dal protocristianesimo in poi, e il secondo che, invece, coprirà il periodo che comincia con le crociate e coincide con gli 800 anni di presenza francescana in Terra Santa. Un lavoro enorme spiega fra Stephan Milovitch che nella Custodia ricopre il ruolo di direttore dell’Ufficio beni culturali ed artistici «un punto importante di questo nuovo museo è che cercherà di dare maggiore risalto alla Chiesa locale, perché gli uomini e le donne che vivono all’ombra dei nostri santuari sono le pietre vive che abbiamo il compito di custodire. Questi cristiani dal punto di vista culturale hanno prodotto molto, anche se è un molto non sempre conosciuto in occidente. Per esempio dal 1500 i frati hanno insegnato la lavorazione difficile della madreperla, che ha prodotto lavori artistici di grande livello, ed ha consentito ai locali di passare da uno status di mendicanti di fronte ai pellegrini a produttori di prodotti artigianali ed artistici. E poi le icone. In genere si parla, nel mondo arabo, di icone siriache e di icone egiziane, dalla nostra collezione — aggiunge — sono emerse anche icone palestinesi molto belle che esporremo. Per quanto l’ambiente di una parrocchia palestinese non è certo quello di una corte europea la loro qualità è sorprendente. Noi — sottolinea — vogliamo che, non solo i visitatori del museo, ma anche le popolazioni locali possano prendere consapevolezza del livello della loro identità culturale. Specie quando questa identità, come oggi, è fortemente minacciata. Fieri del loro passato culturale, che è legato al presente, e che è fondamento di un futuro che dovranno avere. Questo era l’intento anche del patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa, quando decise di dar vita a questo museo».
Una mostra di cui si parlerà
Emilie Rey, che collabora nella realizzazione del museo spiega che: «La maggior parte di queste icone vengono da una collezione realizzata negli anni da un frate che era commissario di Terra Santa in Belgio fino alla fine del secolo scorso». La restauratrice Maylis de Chevigny, giunta dalla Francia per lavorare sulle icone, aggiunge: «Oltre a quelle reperite in Europa, poi una volta giunta qui, abbiamo trovato un piccolo tesoro di icone locali, che vanno dal xvi secolo a metà degli anni ’50 del secolo scorso. Ora le stiamo selezionando, per decidere quali hanno bisogno di restauro, e quali esporre». «Difficile dire — conclude Rey — quanto tempo occorrerà per realizzare questo lavoro, che avrà anche dei costi rilevanti. Di questa esibizione si parlerà molto, anche fuori dei confini della Terra Santa».
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