Il Natale multilingue di Cipro, isola ancora divisa ma sempre crocevia di popoli
Beatrice Guarrera - Città del Vaticano
Nel Mediterraneo orientale c’è un’isola ancora divisa, che nel corso dei secoli è sempre stata un crocevia di popoli: Cipro, la cui capitale, Nicosia, è solcata da un grande muro. Separa la Repubblica di Cipro (nella parte sud) dall’autoproclamata Repubblica turca di Cipro Nord. Anche questo territorio alla periferia dell’Europa, meta di migranti da tanti Paesi africani ma anche asiatici, aspetta il Natale. Lo racconta padre Andrew Arhin, parroco della chiesa di Santa Maria delle Grazie a Larnaca. Dal 2004 in servizio a Cipro, prima a Nicosia e a Limassol, il sacerdote, che è parte della Custodia di Terra Santa, conosce bene gli abitanti dell’isola. «Il lavoro che facciamo qui è molto impegnativo, ma molto bello. Lavoriamo soprattutto con gli stranieri, visto che i locali indigeni di Cipro non sono cattolici, ma ortodossi».
Il senso di comunità
I migranti che si stabiliscono soprattutto nella parte sud dell’isola, spesso sono lavoratori a contratto dalle Filippine, dall’India, dallo Sri Lanka, dal Nepal, dal Vietnam. La domenica, per loro giorno di riposo, si riuniscono in parrocchia per pregare e rinnovare il senso di appartenenza alla loro comunità. «A Larnaca abbiamo le Sante Messe a seconda della lingua dei fedeli», afferma padre Arhin, secondo un fitto programma che punta a non lasciare indietro nessuno. «Alle 8 — spiega il parroco — celebriamo la messa in greco, alle 9:30 in inglese, alle 11 cambia a seconda della domenica: la prima in filippino (tagalog), la seconda in polacco, la terza è per gli indiani e gli srilankesi e poi l’ultima per gli africani».
Ritrovare radici e speranza
Una realtà differente è quella vissuta, invece, nella parte turca, a nord dell’isola — che non è tecnicamente area europea — dove gli abitanti sono in maggioranza musulmani e i migranti provengono soprattutto dai Paesi africani. «La realtà di Nord Cipro — prosegue il sacerdote — sta crescendo molto, perché gli africani che vengono lì per studiare, e che non hanno bisogno di un visto da ottenere, sono in maggioranza cattolici. Vengono da Camerun, Congo, Nigeria». Quando prestava servizio a Nicosia, padre Arhin attraversava il muro di separazione ogni settimana, si metteva in coda per ore al check point e poi correva da una parte all’altra della zona nord, per celebrare messe, battesimi, per incontrare i giovani cristiani. Lì le liturgie sono animate dai canti africani, dai cori e dal calore degli studenti, che in chiesa ritrovano le loro radici e la speranza per andare avanti.
La chiamata alla carità
«È difficile raggiungere la parte nord, puoi rimanere nel traffico più di un’ora prima di arrivare a Famagosta o Kyrenia, ma comunque questo non ci distrae dal lavoro che stiamo facendo». A proseguire la sua opera, ci sono, infatti, diversi sacerdoti che ora sono impegnati a raggiungere periodicamente il nord. Lì anche i musulmani aspettano l’Avvento per mettere gli addobbi natalizi, ricorda con un sorriso il prete. A Larnaca, invece, ci sono migranti che vengono soprattutto dalla Siria e dalla Somalia e la comunità li sostiene con donazioni di vestiti e oggetti. Ogni parrocchiano è chiamato alla carità, anche a Cipro e a prepararsi alla venuta di Gesù. «Natale — conclude padre Arhin — è un momento gioioso. Auguro a tutte le persone che vivono sulla terra che Dio arrivi in mezzo al loro. Auguro loro un buon Natale anche se sono rifugiati, anche se non trovano soluzioni ai loro problemi: la soluzione vera è Cristo, il nuovo Gesù bambino, il principe della pace che ci porterà la sua pace».
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