Natale in Sud Sudan e la speranza riposta nel messaggio di rinascita
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Anche se non ci saranno luci ad illuminare il Natale del Sud Sudan, perché manca l’elettricità, ci sarà, come ormai è già da qualche anno, lo scambio di regali. È a Natale che i più piccoli ricevono un vestitino o un paio di scarpe nuovi, frutto degli immensi sacrifici delle famiglie e indiscutibile oggetto di vanto poi per chi li indossa. Padre Federico Gandolfi, missionario dei Frati minori, è testimone diretto e divertito di una Giuba trasformata in una sfilata di moda da centinaia di ragazzini e adolescenti che il 25 dicembre scendono in strada per fare bella mostra dei doni ricevuti. Poi, dall’altra parte, ci sono gli adulti, coloro che “hanno fame e sete di pace”, che guardano al Natale con la speranza, perché, come dicono loro, “Rabbuna Fi, Dio c’è”, perché il suo messaggio “ci ricorda che qualche cosa di buono, di bello, di straordinario, è accaduto 2000 anni fa, ma non una volta sola, per sempre, è accaduto per sempre, ed è un messaggio che il popolo sud sudanese, i cristiani del Sud Sudan vivono con molta intensità, in modo molto diverso rispetto a noi”.
“Padre, ho fame”
È questo il Natale nel Paese più giovane del mondo, che è anche il più povero secondo il World Economic Outlook 2024 del Fondo Monetario internazionale, con un Pil pro-capite di 455 dollari. Una nazione devastata da corruzione e guerre, pur essendo estraneamente ricca di risorse, dal petrolio all’oro, allo zinco, al rame, all’argento. Conflitti interni, violenza diffusa, cambiamenti climatici, che spesso si esprimono con inondazioni catastrofiche, fanno sì che il Sud Sudan abbia ben più del 60% della popolazione che necessita di assistenza umanitaria. E la situazione sta peggiorando, guardando anche agli oltre due milioni di profughi arrivati dal Sudan in guerra e che ora, pur essendo ormai Khartoum distrutta, senza più né ospedali né scuole, stanno pensando di ritornaci, perché la vita, in Sud Sudan, paradossalmente, è persino peggio. “Siamo proprio allo stremo – spiega ancora padre Federico – per la prima volta nella nostra parrocchia, dopo 10 anni che sono lì, ho sentito i giovani dirmi: ‘Padre, ho fame’. E non era mai successo prima. E questo è anche dovuto all'incremento della popolazione a causa dei profughi. Le Nazioni Unite non hanno aperto campi, ci sono stati molti tagli nei fondi internazionali e quindi è una popolazione che, a causa della guerra, non riesce a trovare né dove andare, né qualcosa da mangiare”.
Il lavoro della Chiesa
Ciò che la Chiesa e i missionari riescono a fare “è una goccia nell’oceano, ma non si riesce di più”. Ovunque ti volti c'è qualcuno che ha bisogno di sostegno economico, di assistenza medica, di cibo. “Abbiamo donazioni che ci permettono di dare alimenti, una famiglia magari ci mangia un mese e poi? Manca proprio la struttura per poter andare avanti in una società del genere”. Nel nord del Paese, che soffre maggiormente le conseguenze dell’arrivo dei rifugiati del Sudan, “i missionari, le suore, i frati, i sacerdoti, fanno veramente tanto, anche con l'aiuto della Caritas internazionale, e riescono a veicolare in maniera ottima le donazioni che ricevono, ma è comunque sempre poco”. Si soffre la fame, nel nord come in capitale, come in tutto il Paese, come accade ai due fratellini che padre Federico ha iniziato ad assistere, portando anche pacchi di cibo ai due anziani genitori privi di tutto, ma con i quali probabilmente riusciranno ad andare avanti forse solo tre settimane. “È un problema grosso che ci mette veramente con le spalle al muro e con le ginocchia piegate, per chiedere aiuto dall'alto. Siamo a Natale, la speranza è il Signore ci faccia questo regalo di poter aiutare chi è veramente povero”. Ed è proprio il 25 dicembre che i frati minori, nel pomeriggio, andranno in visita ai ragazzi di strada, un servizio che viene fatto due volte alla settimana tutto l'anno, è però il giorno di Natale che portano in dono i vestiti, cosicché anche questi ragazzi “possano godere della festa, probabilmente per un giorno, perché poi vivendo in una discarica tutto si sporca, ma anche loro hanno diritto ad essere riconosciuti”.
La gioia per la nascita di Cristo
Eppure, a Natale ci si abbraccia e si canta e si danza, nonostante tutto. Padre Gandolfi e i suoi confratelli celebreranno messe in tutti i centri dove vivono i fedeli, anche a 4 – 5 ore di distanza l’uno dall’altro. “Cerchiamo di visitare tutti, soprattutto in quel giorno. Abbiamo un camp di sfollati, con 35.000 persone. Anche lì ci aspettano per celebrare insieme, è una liturgia che sentono molto e che dura tantissimo per i canti che fanno, cantano ogni cosa e cantano canzoni lunghe, sarà un'esplosione di felicità e la dimostrano molto più che in occidente, in Europa. La esprimono col corpo e quindi ballano e si muovono per la Chiesa, per manifestare la gioia che il Signore dà in questi giorni, ricordandoci, tramite la Chiesa, che è nato per noi ed è con noi”.
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