Siria, voci dalla comunità cattolica: "Confidiamo nella buona volontà dei siriani"
Roberto Cetera - Gerusalemme
Le rassicurazioni prevalgono sulle apprensioni, ma è comunque la prudenza a dominare i commenti in Siria e in gran parte del Medio Oriente, all’indomani dell’uscita di scena di Bashar al Assad, e la presa del potere a Damasco delle forze di opposizione del Hayat Tahrir al Sham (Hts), le milizie guidate da Abu Mohammed al-Jolani.
Il parroco di Aleppo: vogliamo uguali diritti e doveri
«Ieri mattina, domenica, ci siamo svegliati con la notizia della caduta di Damasco e della fuga di Assad - racconta a L’Osservatore Romano padre Bajhat Karakach, parroco di Aleppo -. Vi sono caroselli di macchine, manifestazioni spontanee di gioia nelle strade e soddisfazione per la fine della dittatura degli Assad. I prigionieri politici sono stati liberati da tutte le carceri del Paese». Il governo di Assad tuttavia proteggeva le minoranze, e quella cristiana in particolare, già duramente provata: «La comunità cristiana - continua il parroco - dopo quasi 14 anni di guerra civile e la dittatura sanguinaria di Assad, si è assottigliata: molti sono fuggiti all’estero. Ora speriamo che possano tornare, perché i cristiani sono una componente che può dare molto per la ricostruzione della Siria. Ovviamente le milizie che hanno vinto e il governo che si insedierà a Damasco dovranno darci conferma delle rassicurazioni che finora hanno espresso ai cristiani, promettendo che tutte le minoranze saranno trattate con pari dignità di cittadinanza. Noi, d’altronde, non intendiamo venir trattati come minoranza da tutelare, ma come cittadini di uguali diritti e doveri».
"I cristiani sono cittadini siriani"
Inoltre, spiega ancora padre Bahjat, «i cristiani non sono un gruppo a parte, sono siriani come tutti gli altri. E come tutti i siriani sono sfiniti dalla situazione imposta dal regime. La Siria di Assad non conosceva ormai da anni sviluppo, economia, coesione sociale. In Siria non si vive, ma si sopravvive. E poi questi miliziani, negli ultimi anni, nella provincia di Idlib hanno mostrato una diversa apertura nei confronti dei cristiani. Per esempio restituendo i beni che erano stati precedentemente confiscati. E ora, dopo l’ingresso ad Aleppo, hanno inviato messaggi molto forti di tolleranza e rispetto. Il fatto poi, oggi, che il loro leader al-Jolani non abbia voluto prendere il potere a Damasco, ma che abbia intavolato un confronto con i membri del governo precedente è un segnale molto importante che non intendano assumere un profilo estremista o radicale. Noi ci auguriamo - conclude - che queste promesse vengano sancite definitivamente attraverso il varo di una nuova Costituzione». Secondo notizie dell’ultima ora, i miliziani hanno affidato il ruolo capo del governo di transizione a Muhammad Bashir, non all’esiliato ex premier, Riad Hijab, o all’attuale primo ministro Muhammad Jalali, come inizialmente previsto. La scelta, secondo Al Jazeera, è stata presa direttamente da al-Jolani.
Padre Lufti: confidiamo nel supporto internazionale
Non meno positivo appare padre Firas Lutfi, parroco dei cattolici latini della capitale Damasco: «È un dono che ci giunge nel giorno della festa di Maria: è la nascita della nuova Siria. Dopo ben 53 anni di un governo dittatoriale e sanguinario che ha fatto piazza pulita degli oppositori. Una dittatura che ha lasciato però tante ferite: oltre mezzo milione di morti, 11 milioni di profughi fuggiti all’estero, in Turchia e in Europa, un sistema economico distrutto, e tanta, tanta, povertà. Ora tutto questo è finito. Il dittatore è scappato, vittima della sua stessa presunzione di invincibilità. Ora dobbiamo volgere lo sguardo al futuro, alla Nuova Siria che nasce questa mattina. Speriamo che i siriani sappiano ritrovarsi finalmente uniti nel costruire un futuro comune di bene e solidarietà sociale. Ci sono ovviamente ancora tante domande circa il profilo di questo futuro, quale tipo di governo si stabilirà, sapendo che le forze che hanno vinto hanno una certa eterogeneità al loro interno. Ma confidiamo, oltre che nella Provvidenza, anche nella buona volontà dei siriani, e anche nel supporto di quella comunità internazionale che certamente ha avuto un ruolo nel successo di al-Jolani e delle sue truppe».
Il vicario Jallouf: "Speriamo nel rientro dei profughi"
Su questo punto interpelliamo anche il vicario apostolico di Aleppo monsignor Hanna Jallouf, che è vescovo dei cattolici latini in Siria: «La dinamica degli eventi di queste ore in effetti dice molto sulla loro genesi in un quadro di riferimento internazionale, che coinvolge Usa, Russia, Iran, Turchia, e anche Israele. Ognuna di queste parti ha avuto una qualche convenienza dal cambio di regime». In particolare monsignor Jallouf si riferisce «all’immediata conseguenzialità dell’insurrezione alla tregua in Libano con Hezbollah, e poi anche alla rapidità del risultato conseguito dalle milizie: in 6 giorni hanno raggiunto quello che non era riuscito in 13 anni». Sui possibili scenari futuri il vicario apostolico di Aleppo è fiducioso: «La situazione si chiarirà piano piano. Si capirà nei prossimi giorni che tipo di governo verrà instaurato. Ma i presupposti sembrerebbero confortanti; ci hanno assicurato massima attenzione ai diritti dei cristiani in un incontro coi vescovi di tutte le confessioni cristiane. Spero anche che possa cominciare il rientro di tanti profughi. In questi anni quasi un quarto della popolazione, e tra loro molti cristiani, ha lasciato il Paese».
Impatto su tutto il Medio Oriente
Monsignor Jallouf spiega di aver già incontrato al-Jolani: «Mi ha dato assicurazione che le persone cristiane e quanto posseggono non verranno toccate, e che soddisfaranno ogni nostra richiesta legittima. E in effetti durante gli ultimi sei giorni questo è accaduto. Io spero che ora si possa andare tutti nella stessa direzione, che è quella di restituire alla Siria il ruolo che la storia e la cultura gli hanno attribuito nel passato». L’impatto che il cambio di governo potrà avere sullo scacchiere mediorientale è di rilievo. Per la Turchia si apre la possibilità di risolvere il problema dei milioni di rifugiati siriani ospitati nel sud del paese e che sono motivo di tensione continua. Per russi ed iraniani è il disimpegno da una situazione che aggravava i loro contestuali problemi e conflitti (peraltro sembrerebbe che i nuovi arrivati confermino anche la presenza dei russi nella strategica base navale di Taurus) e per gli Usa e gli israeliani (che comunque hanno rafforzato precauzionalmente i contingenti nell’area di confine del Golan) c’è il vantaggio di un corto circuito nel rifornimento di armi dall’Iran a Hezbollah che appunto transitava per la Siria.
Speranza di pace
I prossimi giorni saranno decisivi per capire se la moderazione di al-Jolani - che nel passato è stato dirigente di al-Qaeda - risulterà affidabile. Che tutto lo scacchiere sia in movimento è indicato anche da un breve incontro tra il presidente eletto americano Donald Trump e il vicario della Custodia di Terra Santa, padre Ibrahim Faltas, avvenuto a margine dell’inaugurazione a Parigi della cattedrale di Notre Dame restaurata. Trump avrebbe indicato al francescano che una rapida pacificazione dell’area è priorità temporalmente assoluta per la nuova amministrazione americana, aggiungendo che punto centrale è il destino di Gerusalemme: «Se non c’è pace a Gerusalemme non c’è pace in tutto il Medio Oriente».
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui