Padre Romanelli: “A Gaza la Chiesa cattolica continuerà ad essere luce di speranza"
Jean-Charles Putzolu – Città del Vaticano
Il rientro alle proprie terre, alle proprie case, o in quel che ne resta, è un segnale davvero molto positivo, ma non è sufficiente, perché non è ancora chiaro se ci sia una vera volontà internazionale di voler ricostruire. Padre Gabriel Romanelli, parroco della chiesa della Sacra Famiglia nella Striscia di Gaza, guarda al contro esodo dei gazawi, fuggiti dal nord al sud della Striscia, per sopravvivere ai bombardamenti israeliani e che ora, a partire da lunedì 27 gennaio e con l’autorizzazione di Israele, stanno facendo ritorno nella loro terra con la speranza di poter tornare in sicurezza alla propria vita, dopo mesi di guerra, di morti, di distruzione.
Impegno nella ricostruzione
“È un segnale buono il fatto che abbiano dato il permesso di rientrare, però ancora non si vede la reale volontà di tutti coloro che questa guerra l’hanno sostenuta e che ora devono veramente aiutare con il loro impegno nella ricostruzione”. A Gaza City, prima della guerra, si contavano oltre un milione di persone, scese a causa del conflitto a circa 400mila. Le ultime stime delle Nazioni Unite indicano che in oltre 300 mila siano già rientrate. Questo significa, è anche la preoccupazione di Romanelli, “che i bisogni sono ancora di più. Ci vuole acqua potabile, che è un bene essenziale, senza il quale non si può vivere. E poi ci vuole l’aiuto umanitario, che deve continuare a essere consistente, e quindi cibo, medicinali”.
Seminare pace
La Chiesa cattolica, con la parrocchia della Sacra Famiglia, che afferisce al Patriarcato Latino di Gerusalemme, così come l’Istituto del Verbo Incarnato, al quale appartiene il sacerdote argentino, e al quale il patriarca, il cardinale Pierbattista Pizzaballa, ha affidato questo lavoro pastorale, continueranno non solo ad offrire supporto spirituale, ma anche a aiutare materialmente tutti i civili, che siano cristiani o musulmani, maggioranza, questi ultimi, della popolazione di Gaza. “Ringraziamo Dio del loro rientro – afferma il religioso – prima del ritorno delle persone la Chiesa cattolica è riuscita ad aiutare 17mila famiglie, il che fa molto di più di centomila persone, anche supportando il sistema sanitario attraverso l’azione di Caritas Gerusalemme, del Patriarcato latino e dell’Ordine di Malta. Continueremo a servire i poveri, i malati, continueremo, anche se non si trovano neanche i medicinali per le malattie croniche. Continueremo a fare tutto questo, nonostante l’esiguo numero di cristiani rimasti a Gaza, che prima di quel terribile 7 ottobre erano 1017 su 2.300.000 abitanti, mentre ora siamo in circa 700. Ma, nonostante l’esiguo numero, cerchiamo di essere una luce di speranza, di aiutare qualsiasi persona, che sia dentro o fuori della nostra chiesa o del nostro quartiere, perché la pace è possibile, ma bisogna seminarla per essere chiamati figli di Dio. Bisogna lavorare e aiutare ogni essere umano, a prescindere dall’appartenenza religiosa o nazionale”.
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