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Siriani salutano il nuovo anno Siriani salutano il nuovo anno

Siria, Zenari: si è aperta una breccia di speranza, ora pace vuol dire sviluppo

Ieri l'incontro a Damasco tra il nuovo leader al-Jolani e i capi del clero cristiano: evento che, osserva il nunzio, fino a tre settimane fa era "inimmaginabile". Nell'intervista ai media vaticani, il cardinale insiste sulla delicatezza di una pace ancora "fragile", lavorare tutti per "camminare con le proprie gambe". Racconta del Natale celebrato anche sulle fosse comuni: la comunità internazionale avrebbe potuto fare di più per evitare questi orrori: no alla spirale della vendetta

Antonella Palermo - Città del Vaticano

Ieri, ultimo giorno dell'anno appena concluso, il leader de facto della Siria Ahmed al-Sharaa, noto anche come Abu Mohammed al-Jolani, ha incontrato a Damasco i rappresentanti del clero cristiano, in un contesto di preoccupazione tra le minoranze siriane che si aspettano garanzie dal nuovo potere. All'indomani di questo appuntamento, nella odierna Giornata mondiale per la Pace, il commento ai media vaticani del nunzio apostolico Mario Zenari che dall'Italia, dove sta trascorrendo un periodo di pausa per le festività natalizie, mentiene costante il filo diretto con i delegati arrivati ieri nella capitale siriana dalle varie regioni del Paese.

Ascolta l'intervista con il nunzio Mario Zenari

Eminenza, che riscontri ha ricevuto e quale valore ha secondo lei l'incontro in questa fase per l'evoluzione dei rapporti tra i cristiani e le autorità politiche che si sono insediate al governo?

È un evento che nella storia della Siria fino a tre settimane fa era inimmaginabile. Ho sentito qualche testimonianza, i vescovi e i sacerdoti presenti sono usciti con una certa speranza per l’avvenire della Siria. Ahmed Al Jolani ha promesso che sarà una Siria di tutti, una Siria inclusiva e al termine ha augurato buon Natale e un anno di pace. Devo anche dire che, siccome queste autorità religiose arrivavano un po’ da tutte le parti e quelli da Aleppo erano un po’ in ritardo, lui ha voluto attendere che fossero tutti presenti: è qualcosa di particolare che promette bene, speriamo. Anch’io ho avuto occasione una settimana fa di incontrare il nuovo ministro degli Esteri, sono anche decano del Corpo diplomatico, voleva vedermi. A livello dei leaders ci si intende, devo dire, su alcuni principi e valori fondamentali. Naturalmente poi bisognerà vedere i fatti, passare dalle parole ai fatti. Comunque in quello di ieri e negli altri incontri - ad Aleppo, poi con i cristiani del centro e del sud - tutti i vescovi hanno mostrato un certo ottimismo, tuttavia alcuni cristiani, soprattutto all’inizio, restavano molto timorosi. Molti volevano subito partire dalla Siria. Speriamo...

A questi cristiani quale è il messaggio che lei sente di rivolgere?

Io ho detto subito ai cristiani: non temete, rimanete. Non è questo il tempo di partire dalla Siria ma è il tempo, anche per i cristiani fuori dal Paese, di ritornare. Perché dobbiamo essere in prima linea; come cristiani, ci è data, almeno a parole, questa possibilità. Dobbiamo essere presenti nella ricostruzione della nuova Siria proponendo i valori di salvaguardia dei diritti umani, di libertà, di rispetto per tutti. Guai mancare! Ciascuno è libero, però io come nunzio chiedo questo impegno, lo chiedo soprattutto alla gente che può dare dei contributi particolari. Comincerà fra poco l’elaborazione della nuova costituzione: ho fatto appello a coloro che hanno una certa preparazione nel campo del diritto costituzionale, a medici, ingegneri. È il tempo di rimboccarsi le maniche. L’ho detto a tutti i siriani, e ai cristiani in prima fila. Se poi, un giorno, non ci vorranno più, speriamo di no, allora diremo 'arrivederci'. Ma dobbiamo esserci.

Il Natale è stato un momento di vera rinascita per voi?

Il Natale è stato celebrato con questa atmosfera di gioia, di speranza. Però, in certe comunità, anche con un certo timore. A questo proposito, vorrei dire che quando ho visto in televisione il Papa che ha aperto la Porta Santa in San Pietro, ho pensato a come in Siria, fino a qualche settimana prima era morta, sepolta. E io, nell’imminenza dell’apertura del Giubileo, facevo sempre la considerazione che nel cuore di tanti, in Siria, non c’è la visione di un futuro. All’improvviso, in maniera del tutto inaspettata, questa speranza sepolta è un po’ riapparsa e si è fatta una breccia. Non si è spalancata una grande porta della speranza, come quella della basilica di San Pietro, ma è una breccia, un varco. È già qualcosa.

Sono state aperte le porte delle carceri in Siria, così che la comunità internazionale ha potuto constatare i danni della violazione continua dei diritti umani da parte del governo Assad. Che sentimenti ha, eminenza?

Grande dolore, grande tristezza. È commovente. Noi abbiamo celebrato il Natale anche sulle fosse comuni. Questi orrori si conoscevano. Era quasi impossibile fare qualcosa però si doveva tentare. Queste porte dell’orrore che si sono aperte pongono anche un esame di coscienza a ciascuno di noi, alla comunità internazionale: si poteva fare di più per evitare tutto questo dolore. C’è però ora anche un certo timore. Rifacendomi al tema della Giornata della Pace di oggi, il tema fa pensare perché c’è il grosso rischio di cadere nella spirale della vendetta e delle esecuzioni sommarie. Guai cadere in questa spirale. C’è da riflettere, anche da parte della comunità internazionale. Una giustizia deve essere una giustizia regolare, giusta.

Il Papa ringrazia chi nelle aree di conflitto lavora per il dialogo e i negoziati. Guardando all’esperienza siriana e più in generale al contesto mediorientale, sente anche lei di esprimere un ringraziamento?

Io ho avuto dalla provvidenza, in sedici anni che vivo in Siria, in mezzo a un cruento conflitto di sangue, la possibilità di vedere tanti buoni samaritani, gente di fede e di tutte le confessioni religiose. Anche persone animate da una concezione altamente umana della dignità della persona. Molti di costoro hanno perso la vita, sono stati uccisi nel soccorrere altri. Bisogna ricordarli, abbiamo un grande dovere di riconoscenza.

Un appello per la tutela delle donne…

Io so che tra i punti che i cristiani, ma non solo i cristiani, vogliono salvaguardare nella nuova costituzione c’è anche questo, su cui ci si dovrà cimentare. E vorrei anche fare un altro appello. La comunità di fronte a queste belle promesse ripete espressioni del tipo “wait and see” (attendi e si vedrà…). Io l’ho cambiata, non mi piace tanto, meglio work and see (lavora e vedrai...). Ripetere ancora di aspettare nel mandare gli aiuti, nel levare le sanzioni, direi di no. Mi sento di lanciare un grande invito alla comunità internazionale: lavora! È una pace molto, molto fragile per la Siria. Un momento molto delicato. La pace è un dono di Dio che non siamo capaci di costruire, però San Paolo VI diceva: il nome della pace è sviluppo. Una Siria che è distrutta, con una economia al collasso, con infrastrutture danneggiate, metà degli ospedali che non funzionano, le scuole distrutte, gente che ha fame, che non ha elettricità... Se vogliamo la pace in Siria dobbiamo assicurare lo sviluppo. Il nuovo nome della pace è sviluppo per aiutare la Siria a stare in piedi e camminare con le proprie gambe.

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01 gennaio 2025, 13:46