Pakistan, il Giubileo di chi è segnato dalla “schiavitù per debito"
Paolo Affatato – Città del Vaticano
Ridare speranza agli oppressi. Condonare il debito a quanti l'hanno contratto. Restituire libertà agli schiavi. È vissuto nel suo senso biblico più profondo e più autentico il Giubileo in Pakistan, nazione segnata da un tragico fenomeno sociale ed economico che nell'Anno santo acquista nuova luce: la “schiavitù per debito” nella cave di argilla e nelle fornaci per la produzione dei mattoni. E così per le intere famiglie di disperati, costretti in uno stato di schiavitù legalizzata nelle campagne del Punjab pakistano, un luogo di sofferenza e di morte può diventare un luogo di vita e di speranza. Il Giubileo per la popolazione della località di Kot Radha Kishan, area di estrazione dell'argilla, è un tempo in cui si può iniziare una vita nuova. Nella fornace di mattoni a Kot Radha Kishan, nel 2014, due coniugi cristiani, Shazad Masih e Shama Bibi, vennero linciati e arsi vivi, sulla base di false accuse di blasfemia. Ancora oggi in quel luogo famiglie cristiana sbarcano il lunario, in condizioni di emarginazione, riuscendo a sostentarsi a malapena, e dedicando al lavoro anche diciotto ore al giorno. Così i frati cappuccini della vicina località di Bhai Pheru hanno voluto iniziare il Giubileo condividendo solidarietà e vicinanza con le famiglie poverissime dei lavoratori della fornace di mattoni nel villaggio Chak 69. “Lì dove i coniugi cristiani vennero uccisi, oggi fiorisce un germoglio di bene" ha detto il cappuccino e parroco p. Qaiser Feroz. I frati francescani e i volontari hanno distribuito pacchi alimentari e si sono fermati a incoraggiare e pregare con i lavoratori delle fornaci di mattoni, che hanno espresso grande gioia e gratitudine. Rivolgendosi a quanti vivono in stato semi-schiavitù, p. Feroz ha detto: “Cristo è la nostra e la vostra speranza: è sempre con voi, non siete mai soli in questa lotta della vita quotidiana”.
L’aiuto a chi è vittima del “lavoro schiavo”
Nell'anno giubilare in Pakistan le comunità cattoliche, in particolare in Punjab, hanno inserito tra le priorità pastorali l'aiuto alle famiglie intrappolate nella rete del "lavoro schiavo" (come lo ha definito Papa Francesco), diffuso nella nelle fabbriche di argilla che punteggiano la regione. Le famiglie impegnate comprendono spesso giovani, anziani, donne, bambini: tutti ingabbiati dalla pratica del “peshgi”, l’anticipo del salario che l’operaio riceve dal datore di lavoro, per una sua necessità (come ad esempio delle cure mediche speciali), e che va a creare un debito. Quel debito si accumula e, a causa degli interessi, genera un sistema di dipendenza perenne, una forma di schiavitù moderna. Il Pakistan si trova al sesto posto nell’indice stilato da “Global Slavery”, l'organizzazione che ha censito nel paese 2,3 milioni di schiavi, l’1,13% dell’intera popolazione pakistana.
Le fasce più povere in mano ai padroni
Famiglie cristiane e indù, che appartengono alle fasce più povere della popolazione pakistana – riferisce l'agenzia Fides – sono spesso vittime di quel sistema perverso, finendo per passare l’intera esistenza alla mercé di padroni senza scrupoli. Spesso per restituire la somma dovuta sono necessari anni di lavoro senza diritti: il lavoratore non riesce a ripagare il debito, che a volte non si estingue nemmeno con la sua morte ma che si riversa sulle successive generazioni, creando generazioni di schiavi. Per questo, nella parte centro settentrionale regione del Punjab, don Emmanuel Parvez, parroco nelle diocesi di Faisalabad, grazie a donatori in Europa e in America, raccoglie fondi per ripagare il debito che rende schiavi e liberare così quelle famiglie intrappolate per sempre. “I cristiani, parte significativa di questa forza lavoro, affrontano abusi e gravi violazioni dei diritti umani. Queste difficoltà colpiscono in modo sproporzionato donne e bambini”, racconta don Parvez. Grazie alla collaborazione con organizzazioni locali, nell’autentico spirito del Giubileo si è riusciti a salvare cento persone, tra cui bambini e anziani, dalla condizione di schiavitù. Tra coloro, cinque donne che avevano sopportato otto anni di sfruttamento, segnati da violenze e abusi sessuali. Ora inizia un nuovo cammino di giustizia e la riabilitazione. Per loro comincia una nuova vita, fatta di immensa libertà, un tempo di vero giubilo e di nuova speranza.
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