Pizzaballa: in Terra Santa tutto parla di distruzione, difficile sperare ma non impossibile
Vatican News
“È molto difficile oggi parlare di speranza e ed è ancor più difficile parlare di speranza qui, in Terra Santa perché tutto parla di distruzione, di paura che sono il contrario della speranza. Però, se alziamo lo sguardo come Maria ci indica, possiamo vedere tantissime persone che ancora danno la vita anche qui, e non si arrendono a questa situazione così barbarica”. Sono le parole che il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, ha affidato a un videomessaggio inviato ai partecipanti alla terza edizione della Cattedra dell’accoglienza ideata per promuovere la cultura della solidarietà e l’arte dell’incontro e del dialogo. La manifestazione, ospitata negli spazi di Fraterna Domus di Sacrofano, vicino Roma, è dedicata al tema “Speranza e accoglienza, per un futuro planetario fraterno” di cui si discute fino al prossimo 28 marzo.
Tornare in Terra Santa
Per il patriarca chi non si arrende alle barbarie “rende concreta la speranza che abita già nel nostro cuore e che è Gesù Cristo”. Il videomessaggio arriva nel giorno di avvio dei lavori della Cattedra che coincide con “la festa dell’Annunciazione, la festa l’accoglienza per eccellenza”, spiega Pizzaballa sottolineando che “attraverso quel ‘sì eccomi di Maria’ Dio entro nella storia la cambia”. “Il mio augurio è che quella Parola accolta da Maria e poi donata al mondo diventi vita concreta per tutti e continui a essere nel mondo una parola diversa, di vita, di accoglienza, di amore e di dono sé che è lo stile cristiano”, auspica il cardinale che invita tutti a “tornare in Terra Santa” perché “la comunità cristiana ha bisogno della vostra presenza, della presenza dei pellegrini”. Nonostante la ripresa delle ostilità, il porporato evidenzia infatti che "non siamo tornati alla situazione precedente: dal punto di vista dei pellegrinaggi, degli spostamenti la situazione è più tranquilla”. Serve, però, “darsi coraggio, avere fiducia ed esprimere solidarietà”, senza dimenticare che “la speranza si fonda sull’incontro con Gesù”.
Il buio del passato e la speranza del Giubileo
I lavori a Sacrofano hanno visto pure l'intervento di monsignor Virgili Bercea, vescovo della Diocesi rumena di Oradia, il quale ha ricordato i tempi in cui il suo Paese viveva sotto l'influsso dell'Unione Sovietica: "Eravamo dietro la Cortina di ferro e sappiamo cosa significa, sappiamo che i russi sono riusciti a trasformare la nostra Romania in una grande carcere da cui nessuno poteva uscire: gli intellettuali della Romania furono tutti incarcerati, la Chiesa greco-cattolica fu messa fuorilegge, i vescovi, i sacerdoti, i laici furono arrestati”. “Abbiamo vissuto dei tempi molto bui e speriamo che non ritornino mai più nella nostra vita”, ha continuato il vescovo, aggiungendo: “Speriamo che la storia non ritorni indietro” perché “il sonno della memoria fa rinascere mostri”. Bercea ha raccontato anche che “come Chiesa cattolica ci siamo impegnati molto per il Giubileo cercando di dare a tutti il dono della speranza che l'anno giubilare cerca di dare a tutti”. Sono tanti i pellegrinaggi “che le diocesi stanno organizzando anche a Roma per i diversi Giubilei”.
Il grande segno della gratuità
Spazio nella manifestazione anche a un dialogo tra il vescovo di Lucca, monsignor Paolo Giulietti, e lo storico Paolo Giuseppe Caucci von Saucken sul tema Cammini e vie della terra. “In questo momento storico il grande segno è la gratuità. Fare le cose gratis ancora oggi è provocatorio fa sorgere delle domande, dà un messaggio che ha una forza che non può essere facilmente contestata”, ha detto monsignor Giulietti. “Io ti accolgo gratis, ti ospito senza chiedere un corrispettivo – ha aggiunto – questo linguaggio della gratuità è qualcosa che tocca le corde dell'umanità in maniera direi oggettiva e incontestabile, soprattutto in questo momento storico”. Il vescovo ha ricordato che “l'accoglienza è fondamentale per chi fa il cammino ma anche per chi la vive avendolo fatto a propria volta, perché la maggior parte degli ospitalieri sono ex pellegrini che sentono il bisogno di restituire l'esperienza che hanno ricevuto quando hanno fatto il cammino”. Quindi “essere ospitalieri vuol dire continuare in qualche maniera a essere pellegrini mettendosi al servizio”.
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