Ordine di Malta, il Libano e la sfida della ripartenza dopo anni difficili
Valerio Palombaro – Città del Vaticano
Il Libano - ancora scosso dai 67 giorni di guerra, che si sono sommati alla cronica crisi economica e sociale - prova a rialzarsi dopo anni di buio. La tregua regge e il Paese ha finalmente un nuovo governo. È il momento «di sostenere il processo di stabilizzazione e ricostruzione», ha dichiarato il gran cancelliere del Sovrano Ordine di Malta, Riccardo Paternò di Montecupo, che in Libano ha appena concluso una visita di tre giorni. Un’occasione per incontrare il presidente Joseph Khalil Aoun, il primo ministro Nawaf Salam, e il presidente dell’Assemblea nazionale Nabih Berri, un cristiano, un sunnita e uno sciita come tradizione per questo “Paese messaggio” di coesistenza come lo definì San Giovanni Paolo II.
I progetti di assistenza
La missione è servita anche a fare il punto sui tanti programmi di assistenza portati avanti dall’Ordine di Malta a beneficio del popolo libanese. Attraverso una rete di 60 progetti, composta da 11 centri sanitari, 11 unità mediche mobili, 7 centri agro-umanitari, 3 cucine comunitarie mobili, 2 centri di accoglienza per persone disabili e numerosi altri programmi, l’Ordine di Malta in Libano fornisce un sostegno essenziale a chi ne ha bisogno.
La crisi nella crisi
«Prima la pandemia del Covid-19, poi l’esplosione al porto Beirut e infine la guerra, il Libano vive una “crisi nella crisi” e molte persone non sono riuscite più a venire nel nostro centro sanitario per cui la missione ora è anche quella di andare da loro nelle case a fornire assistenza», spiega al telefono dei media vaticani Laurette Damien, direttore amministrativo del centro sanitario dell’Ordine di Malta in Ain el Remmaneh. Chiamato anche Centro San Giovanni Battista, è il più grande dell’Ordine e il più vicino a Beirut ed è considerato un centro pilota dove vengono sperimentati e testati nuovi servizi medici. Si trova su quella che era la linea di demarcazione che divideva Beirut in est e ovest (quindi cristiani e musulmani) e dove è iniziata la guerra civile nel 1975. Sede di molte tensioni dal dopoguerra a oggi, il centro – attraverso i suoi servizi di qualità – ha svolto un ruolo di pace e coesistenza nella regione. «Operiamo senza alcuna discriminazione, in base ai principi di giustizia ed eque opportunità per tutti - sottolinea Damien - nel 2024 abbiamo assistito 45.000 beneficiari, e abbiamo offerto 85.000 servizi di salute generale in varie specialità». Il direttore fa notare come il 95 per cento degli assistiti vivano «sotto la soglia di povertà». E questo la dice lunga sulle difficoltà della popolazione libanese, in ginocchio dopo anni difficili.
La salute mentale a rischio
«La recente guerra ha posto numerose sfide», prosegue Damien. «Abbiamo assistito anche 600 sfollati che erano stati accolti nella scuola vicino al nostro centro. Un servizio animato dall’amore, aperto ad assistere tutti, Abbiamo tenuto la porta sempre aperta perché crediamo nella resilienza umana. E siamo diventati una famiglia». Tra i bombardamenti costanti sono aumentate anche le esigenze, soprattutto per i più vulnerabili. «In particolare – dichiara il direttore del centro – sono aumentate le esigenze di assistenza nel campo psicologico e della salute mentale».
L’assistenza nella Beqaa
La guerra si è fatta sentire meno duramente nella Beqaa occidentale, una regione che è modello di coesistenza tra le varie comunità dove però non mancano i problemi. «Nel 2016 abbiamo lanciato l’Unità medica mobile di Kefraya», spiega ai media vaticani il dottor Jammal Ismail. Nell’area di Kefraya ci sono circa 65 insediamenti per rifugiati siriani, grazie all’istituzione di questa Unità medica mobile, il personale dell’Ordine di Malta può visitare anche le persone che vivono nei villaggi più remoti. «Ci sono 13.000 famiglie registrate nel programma per un totale di 11.000/12.000 consulenze annuali effettuate», afferma Ismail. Si tratta di consulenze mediche essenziali in un’area caratterizzata dall’assenza di altri servizi sanitari. Il dottor Ismail è un musulmano sciita e lavora da decenni con l’Ordine di Malta: «Il nostro motto è non ti chiedo di quale razza, colore o religione sei, ma dimmi di cosa hai bisogno». Un servizio paritario per tutte le persone bisognose, in una regione dove da secoli convivono sunniti, sciiti, cristiani e drusi. «Riceviamo pazienti anche da altre aree come Chouf e Beqaa orientale, assistiamo tutti i libanesi che, vivendo in villaggi remoti, non hanno altre possibilità di accesso alle cure». Oltre il 70 per cento degli assistiti sono bambini. «Molto spesso riscontriamo malattie legate alla scarsa igiene, ma anche un elevato numero di bambini nati con disabilità», osserva il medico.
Le malattie croniche
Ma uno dei principali problemi è legato alla mancanza di accesso ai servizi di cura per il cancro. Un limite che interessa sia i rifugiati siriani che i cittadini libanesi. «Più in generale ci sono grandi difficoltà nel curare le malattie croniche – spiega Ismail -. C’è ad esempio un problema legato all’alto costo dei medicinali, come l’insulina». Questo stesso problema viene rilevato dal direttore del centro di Ain el Remmaneh. «Ci sono costi esorbitanti per i farmaci, che rendono difficile le cure soprattutto per le malattie croniche», afferma Damien che, seppure con realismo, conclude lasciando aperta la porta della speranza: «Finalmente abbiamo un nuovo governo, ma la strada per la ripresa è ancora molto lunga e al Paese serve il sostegno della comunità internazionale».
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