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Il ritratto di Gesù, l'ultima opera di Bernini

Il genio e la fede di Gian Lorenzo Bernini nella sua ultima opera: il "Salvator Mundi" conservato nella Basilica di San Sebastiano fuori le Mura a Roma. Il regista del barocco eseguì questo ritratto del Risorto "dal vero": l'opera è infatti perfettamente sovrapponibile alla Sindone. Lo studio è stato condotto dalla fotografa Daniela di Sarra: "è una scultura estremamente viva, come se Bernini volesse catturare un attimo della persona che aveva di fronte"

Paolo Ondarza – Città del Vaticano

C’è la fede intensa e vissuta, insieme al genio artistico di Gian Lorenzo Bernini nel busto del "Salvator Mundi", custodito all’interno di una teca in vetro nella Basilica di San Sebastiano fuori le Mura a Roma.

La Basilica di San Sebastiano fuori le Mura a Roma
La Basilica di San Sebastiano fuori le Mura a Roma

L’ultima opera di Bernini

Travagliata la storia di questa scultura capolavoro, l’ultima opera realizzata “per sua devotione” dal grande regista della Roma Barocca nel 1679, prima di morire all’età di ottantadue anni, il 28 novembre del 1680. Bernini la chiamava il suo “Beniamino”. Per volontà testamentaria la lasciò alla regina Cristina di Svezia, sua cara amica, che venuta a mancare nel 1689, ne fece dono a Innocenzo XI. La famiglia Odescalchi conservò il busto fino al Settecento. Poi del "Salvatore" si perse traccia.

© Daniela di Sarra 2016-2023
© Daniela di Sarra 2016-2023   (© Daniela di Sarra 2016-2023)

Il ritrovamento

Negli ultimi decenni del secolo scorso si è messa in moto un’appassionata ricerca che, passando per sculture simili conservate al Chrysler Museum di Norfolk o nella Cattedrale di Sées in Normandia, ha condotto nel 2001 nei pressi delle Catacombe di San Sebastiano sull’Appia Antica.  Qui, in un piccolo ingresso del convento francescano intitolato al martire romano, in una nicchia stava nascosto, silente, il bellissimo volto in marmo del Signore, incorniciato da capelli fluenti e con le spalle avvolte da un manto. Probabilmente fu la famiglia Albani, imparentata agli Odescalchi, a condurre in questo luogo il busto berniniano. Tanto ci si è interrogati sulla mano della scultura, sulla sua sproporzione, forse pensata per essere vista dal basso, e sul significato del gesto che a qualcuno è parso di benedizione.

Un ritratto dal vivo del Risorto

La travagliata ed enigmatica storia dell’ultimo capolavoro di Bernini ha rivelato però in anni recentissimi un’altra sorpresa. Il celebre scultore infatti avrebbe realizzato un ritratto “dal vivo” di Gesù Cristo, il più bello tra i figli dell’uomo, morto e risorto, plasmandone i lineamenti sul volto della Sindone. È giunta a questa conclusione, al termine di appronfonditi studi e ricerche, la fotografa e umanista Daniela di Sarra, autrice del libro “Bernini, il Salvatore e la Sindone, pubblicato da Gangemi Editore.

Ascolta l'intervista a Daniela di Sarra

“Nel 2016 in occasione del Giubileo della Misericordia ero a San Sebastiano fuori le Mura con una mostra dedicata al volto di Dio nella natura”, racconta di Sarra a Vatican News. “Il mio sguardo è stato catturato dallo splendore della statua di Bernini in marmo di Carrara che ho avuto modo di vedere e fotografare al di fuori della teca di vetro dietro la quale oggi è collocata. Quel volto del Salvatore mi ricordava qualcosa. Lo avevo già visto. Me lo ripetevo come un tarlo mentale”.

Quindi le venne in mente il volto della Sindone?

Sì, ne parlai subito con padre Stefano Tamburo che oggi è parroco di San Sebastiano e chiesi se a lui risultasse che Benini avesse avuto occasione di vedere la Sindone. Mi esortò a fare una ricerca, e mi ha rovinato! (ride)

© Daniela di Sarra 2016-2023
© Daniela di Sarra 2016-2023   (© Daniela di Sarra 2016-2023)

Grazie al suo occhio esperto di fotografa è riuscita a riconoscere il volto della Sindone nei tratti della statua di Bernini?

Probabilmente sì. Per fotografare o per disegnare la prima cosa che si impara è a guardare bene. Tornai a casa e feci un esperimento: prima cercai di trovare dei punti di congruenza tra le due immagini. Iniziai subito a preoccuparmi perché ne trovavo troppi! A quel punto stampai su un trasparente il volto fotografato da Giuseppe Enrie negli Anni Trenta del secolo scorso che ad oggi è ancora il più bello perché ottenuto con una proporzione di 1:1. Quando sovrapposi il trasparente al volto del Salvatore rimasi sotto shock: si sovrapponeva perfettamente! C’erano gli stessi segni: il colpo sullo zigomo, il naso distorto per il colpo di bastone, un sopracciglio più alto dell'altro, c'era tutto! Ero sconvolta e in un primo momento pensai di tenere per me questo studio, ma la mia coscienza mi diceva che non potevo seppellire una cosa del genere.

© Daniela di Sarra 2016-2023
© Daniela di Sarra 2016-2023   (© Daniela di Sarra 2016-2023)

La sua scoperta andava condivisa?

Assolutamente. Andava condivisa. E poi mi chiedevo: perchè Bernini era interessato alla Sindone? Avviai una ricerca dal punto di vista storico artistico. Nel Seicento, dopo la Controriforma, la Sindone divenne uno dei leitmotiv dell’interesse generale. È stato il secolo che ha prodotto più copie della Sindone. La grande amica e committente di Bernini, la regina Cristina di Svezia, nel 1656 era andata a vedere la Sindone e sicuramente ne avevano parlato insieme. Come ha evidenziato il professor Marcello Fagiolo (grande esperto del Barocco romano ndr) il tema della Sindone ricorre spessissimo in Bernini. La statua della Veronica della Basilica di San Pietro realizzata da Francesco Mochi, tanto amata da Papa Urbano VIII e commissionata inizialmente a Bernini che ne seguì l’esecuzione, reca un immenso panno che sventola con il volto di Gesù. In un disegno con la Natività eseguito dallo scultore dopo aver assistito a Torino all’ostensione della Sindone e donato a Madame Chantelou, il Bambino non è adagiato in una mangiatoia, ma in una "sindone" sorretta da due angeli.

La sovrapposizione della Sindone al Salvator Mundi di Bernini

Nel suo libro lei sottolinea che il Salvator Mundi si componeva di un basamento, ora perduto, sul quale era presente un riferimento alla "sindone", il drappo di lino usato per la sepoltura dagli antichi Ebrei. Di cosa si tratta?

Sì, il basamento che purtroppo non si è più ritrovato era composto da due angeli che si velavano le mani con un grande panno e sorreggevano il busto del Salvatore, ennesimo richiamo alla Sindone.

© Daniela di Sarra 2016-2023
© Daniela di Sarra 2016-2023   (© Daniela di Sarra 2016-2023)

Bernini dunque studia la Sindone, ma al di là dell’esercizio artistico c’è un interesse spirituale a muoverlo?

Bernini era un devoto, una persona assai religiosa. Quando arrivò in Francia disse una frase ad effetto: ‘che non mi si parli di nulla che non sia grande’. A Torino aveva visto l'immagine del suo Dio. La corte francese di Luigi XIV, per quanto potente, gli sembrava piccola al cospetto di ciò che aveva contemplato. Il ritratto di Luigi XIV, uno dei più belli realizzati da Bernini, esprime forza e intelligenza. Il ritratto di Gesù presenta un altro genere di re: un re spirituale, di pace, gioia, luce, Verità. In Bernini ritorna molto spesso il concetto della Verità.

Il Salvator Mundi è Cristo Risorto?

Sì, chiaramente. La sua mano evoca il gesto del “noli me tangere”. Non è un gesto di benedizione, perché Gesù è voltato dall’altra parte: non si può benedire qualcosa che non si guarda. Mi fa pensare che stia fermando la donna che gli corre incontro e le dice: “Non sono ancora andato al Padre. Noli me tangere”.

© Daniela di Sarra 2016-2023
© Daniela di Sarra 2016-2023   (© Daniela di Sarra 2016-2023)

Anche la mano del Salvator Mundi ha punti di contatto con la Sindone?

Sì. Mi chiedevo: “perché Bernini che è così preciso nelle misure, ha fatto questa mano così grande?” E rispondevo: probabilmente la vedo così, perché era collocata in alto per essere vista in prospettiva. Poi ho compreso che la mano è grande perché anche le mani della Sindone lo sono. Sono le mani di Gesù che benedicevano, guarivano, salvavano.

Il busto del Salvator Mundi esposto nella Basilica di San Sebastiano fuori le Mura
Il busto del Salvator Mundi esposto nella Basilica di San Sebastiano fuori le Mura

Un ritratto estremamente vivo quello del Salvator Mundi. In linea con la ritrattistica berniniana quindi?

Assolutamente sì. Bernini probabilmente è stato il più grande ritrattista. Lo storico dell’arte Francesco Petrucci a cui si deve il ritrovamento del Salvator Mundi ha forgiato la definizione di “ritratti-istantanea”: è come se Bernini volesse catturare un attimo della persona che aveva davanti.

© Daniela di Sarra 2016-2023
© Daniela di Sarra 2016-2023   (© Daniela di Sarra 2016-2023)

Istantanea è una parola del vocabolario della sua professione di fotografa. La sfida per Bernini è stata riprodurre un'immagine piatta impressa su un antico telo in una a tutto tondo…

La sfida è stata duplice. Come indicazioni fisionomiche aveva la Sindone: un volto  martoriato, ma sereno e regale. Inoltre aveva i Vangeli. Bernini era molto religioso. Servì otto Papi con i quali discorreva di religione, fede, spiritualità. C’è poi un altro aspetto che mi ha sconvolta: da questo marmo è riuscito a tradurre una decina di espressioni diverse di Gesù. Quando l’ho fotografato mi è sembrato di fotografare una persona viva, in carne ed ossa. Bernini l’ha scolpita per amore, alla fine della vita, come ha detto Irving Lavin per la sua “buona morte”.

Non è possibile non menzionare l’apparato fotografico del suo libro che esalta al massimo la potenza espressiva del Salvator Mundi. Cosa c’è dietro questi scatti?

Non sono stata particolarmente brava io a fotografarlo. Sono stata aiutata dalla collocazione in cui si trovava la statua, libera dai riflessi di quel sarcofago di vetro in cui oggi è stata inserita per giusti motivi di tutela e sicurezza. Era davvero stupefacente! Chi oggi visita la Basilica di San Sebastiano non può osservarla di lato e il rosso dello sfondo indebolisce un po’ l’effetto luminoso del marmo. Ma è stato giusto proteggere un capolavoro che poteva essere esposto al rischio di atti vandalici.

La Sindone e Bernini © Daniela di Sarra 2016-2023

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