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Homs, il rientro di molte famiglie fuggite dalla violenza Homs, il rientro di molte famiglie fuggite dalla violenza

Mourad: in Siria valga la "regola sacra" dei diritti umani

L’arcivescovo di Homs dei Siri invita alla tutela delle libertà individuali in una nazione che a tre mesi dalla caduta di al-Assad continua a essere colpita da violenza e vendetta: abbiamo bisogno di toccare i frutti della democrazia. Non è accettabile che si viva sotto il potere di una persona, necessaria la separazione dei poteri e il rispetto delle diversità del Paese

Olivier Bonnel - Città del Vaticano

A oltre tre mesi dalla caduta del regime siriano, sotto l’offensiva delle forze guidate da Hayat Tahrir al Sham (Hts), in Siria si continuano a consumare «atti violenza e di vendetta», «soprattutto nelle zone degli alawiti». Lo testimonia in un’intervista ai media vaticani monsignor Yagop Jacques Mourad, arcivescovo di Homs dei Siri. Lo sguardo del presule, in questo periodo in cui il presidente ad interim Ahmed al-Sharaa ha proposto un cammino intercomunitario e interreligioso per il Paese, va in particolare ai massacri avvenuti nelle ultime settimane nella Siria occidentale dove, secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (Osdh), all’inizio di marzo sono stati uccisi più di 1.600 civili, per lo più alawiti, la comunità da cui proviene il deposto Bashar al-Assad. «La mia impressione – riflette dolorosamente monsignor Mourad – è che tutto fosse stato preparato e programmato».

Ascolta l'intervista con l'arcivescovo Mourad

Si parla anche di cristiani uccisi nelle violenze. Può confermare?

C’è stato anche qualche cristiano, ma queste persone non sono state uccise in quanto cristiani ma perché vivevano nei quartieri o nelle zone degli alawiti. Non si è trattato di una persecuzione diretta: non è la stessa cosa come contro gli alawiti.

In questi giorni è stata presentata la Costituzione provvisoria della Siria, in cui la legge islamica rimane la principale fonte del diritto, della giurisprudenza. È stato detto che sono stati compiuti progressi sulla libertà di parola, sul ruolo delle donne ma al contempo permangono timori e incertezze. Perché?

Penso che la maggioranza del popolo siriano non sia a favore di questa nuova Costituzione. Non è al livello delle attese della gente. Dopo tutti questi anni di sofferenza e di guerra, di quali libertà o di quale democrazia si parla? Ci sono delle parole che sono fondamentali per un Paese che sogna dopo quasi 50 anni di “chiusura”. Né i musulmani, né i cristiani, né gli alawiti, né gli ismaeliti, né i curdi o né i drusi, nessuno è d’accordo con questa Costituzione.

Cosa vuole il popolo siriano, secondo lei? Che cosa vi aspettavate dalla Costituzione?

Innanzi tutto che un Paese come la Siria viva sotto la legge del diritto umano (dei diritti umani, ndr.). La libertà individuale è una regola sacra. Finire i massacri e ciò che condanna il popolo a morire, quindi avere una legge che impedisca la pena di morte. Abbiamo bisogno di toccare i frutti della democrazia. Tutto questo non esiste nella Costituzione. Non è accettabile che un Paese come la Siria viva sotto il potere di una persona: anche se ci sono il Parlamento, i ministri, il governo, ma tutto è sotto la responsabilità del presidente. Abbiamo parlato della separazione dei poteri nel Paese, quindi un Parlamento indipendente, un governo indipendente, un esercito indipendente, una giustizia indipendente. Deve essere così per un Paese come la Siria, con la bellezza di tutte le sue diversità e le sue comunità, per vivere nel rispetto di tutti.

Dopo anni di guerra, la Siria è economicamente e socialmente devastata. Ci sono state, anche in questi ultimi mesi, varie conferenze internazionali per aiutare il Paese. Cosa ci si aspetta dalla comunità internazionale?

Da tanti anni aspettiamo che si concretizzino le promesse. Ci sono state tante decisioni per destinare milioni e milioni di euro e di dollari al popolo siriano. Ma allora non dovrebbe esserci nemmeno una famiglia affamata!

L’aiuto non va quindi direttamente al popolo?

È così. Prima, negli anni passati, si è detto che il regime di Assad rubava quello che era destinato al popolo. Oggi dobbiamo vedere se, con questo governo, i soldi promessi per la Siria, ad esempio dall’Europa, arriveranno veramente alla popolazione. Ma la realtà è che per tutto il popolo siriano, anche per i musulmani e altre comunità, l’unico riferimento è la Chiesa. Tutti i giorni riceviamo tanta gente in difficoltà che aiutiamo, per cibo, medicine e altre necessità. Quindi speriamo che questa realtà cambi, perché abbiamo sofferto durante tutti questi anni di guerra, di miseria. Quello siriano non è mai stato un popolo che chiede, non mendica: tutti lavorano e amano farlo. La nostra dignità è una cosa importante. Ma ci chiediamo come mai, in un Paese in cui c'è petrolio, non abbiamo di che riscaldarci o perché non c’è benzina per viaggiare con la macchina o perché soffriamo per le continue interruzioni dell’elettricità: in una giornata forse possiamo avere la corrente per 2, massimo 4 ore. Non è una vita normale questa. Quindi la questione dell’aiuto da parte della comunità internazionale va ben studiata e concretizzata in un modo chiaro. C’è bisogno di partire dai bisogni concreti, come gli ospedali e le scuole, oltre che di istruire chi deve dirigere e organizzare la società.

Rimuovere le sanzioni internazionali darebbe un po’ di respiro al popolo siriano?

Senza togliere le sanzioni non possiamo avanzare neanche di un piccolo passo. È essenziale e necessario che la comunità internazionale rifletta e si ponga la domanda: perché abbiamo imposto le sanzioni e perché continuiamo oggi a mantenerle? Non arriveremo mai a una pace legittima, giusta, se non avremo il coraggio di chiedere, di parlare, di mettere dei punti per ottenere un vero risultato.

Le comunità cristiane sono una minoranza, ma sono molto diverse tra loro nella Siria di oggi. Nonostante tutte le difficoltà, le paure, i timori di cui abbiamo parlato, si può pensare a un’opportunità per i cristiani siriani di mettersi insieme e creare una sorta di piattaforma per il futuro del Paese?

C’è concretamente una divisione che è profonda, ma il Signore non ha mai voluto una Chiesa divisa e ha pregato per proteggerne l’unità. Abbiamo assistito alla sofferenza della migrazione, che rischia di svuotare il Medio Oriente dei cristiani, in Palestina, in Terra Santa, in Iraq, in Turchia, in Siria. Ma tutto il popolo vuole l’unità della Chiesa. Non è possibile rifiutare di ascoltarlo, perché qui la popolazione è veramente mista, un cattolico è sposato con un’ortodossa o viceversa, siamo e viviamo insieme.
 

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25 marzo 2025, 14:11