Un calcio per la pace: nel Kurdistan un torneo per la coesione sociale
Gabriella Ceraso - Città del Vaticano
A 25 chilometri da Suleymaniyah ad Arbat, nel Kurdistan iracheno, un campo di rifugiati che accoglie circa 6.000 persone per lo più siriani, si è trasformato in questi giorni in un laboratorio di pace e coesione sociale: l'idea è stata dell'associazione romana Sport Against Violence insieme alla ong Un Ponte per...
Un campo profughi diventa laboratorio di pace e coesione
Insieme hanno dato vita ad un torneo di calcio a 7, a squadre miste, per ragazzi e ragazze dai 16 ai 27 anni per farli divertire, ma soprattutto per farli conoscere e integrare in una delle aree del mondo messe più in ginocchio dalla guerra. Si sono raccolti a giocare insieme infatti, come ci ha raccontato da Arbat, Elena Laurenti di Sport Against Violence, ragazzi del campo, ragazzi provenienti dai centro giovanili delle città di Arbat e Suleymaniyah e un gruppo di sfollati curdi, "persone costrette da eventi esterni a convivere con le difficoltà di essere diversi per lingua, provienienza, cultura e religione".
Giovani iracheni siriani e curdi insieme a sognare un futuro diverso
Elena racconta di condizioni di vita durissime nel campo, di isolamento e di povertà e del sogno di questi ragazzi di tornare presto nelle loro case. "La cosa che colpisce di più", dice," è che nonostante tutto questi ragazzi abbiano sempre il sorriso sulle labbra e che siano carichi di voglia di fare e di speranza". Per sostenerli, oltre al torneo di calcio, ci spiega Elena Laurenti, si organizzano altre attività sportive di basket e pallavolo e si formano i volontari locali a seguire i giovani, proprio ad utilizzare lo sport come strumento di non violenza, rispetto, regole condivise e pacifica risoluzione delle controversie che possono nascere dall'interazione.
"Devastati dalla guerra hanno ciascuno una storia diversa, molti hanno conosciuto la violenza dell'Isis" dice ancora Elena Laurenti e" non è facile la sfida di conoscersi, fare amicizia e integrarsi", ma in questo lo sport aiuta, è un "linguaggio universale che non ha bisogno di parole e favorisce naturalmente lo stare insieme".
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