Unicef: nel 2017 sempre più bambini vittime dei conflitti
Marco Guerra – Città del Vaticano
Utilizzati come scudi umani, uccisi, mutilati e reclutati per combattere. E poi ancora stupri, matrimoni forzati, rapimenti e riduzione in schiavitù. I conflitti mietono vittime tra i minori senza alcuna remora e utilizzando le suddette barbarie come normali tattiche di guerra. È quanto emerge dal bilancio Unicef 2017 sui “bambini sotto attacco”.
L’Agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia mette a fuoco le situazioni in tutte le principali aree di crisi del mondo che vanno dall’Africa al Medio Oriente, fino al Sud Est Asiatico. Iraq, Siria, Yemen, Nigeria, Sud Sudan, Myanmar e molti altri Paesi rispetto ai quali l’Unicef denuncia “un numero impressionante di attacchi, mentre le parti in conflitto hanno palesemente ignorato le leggi internazionali per la protezione dei più vulnerabili”.
Le aree di crisi
Il bilancio indica alcune nazioni in cui i rischi di coinvolgimento dei minori nei conflitti si sono persino acuiti. È così nel Nord Est della Nigeria e in Camerun, qui Boko Haram ha costretto almeno 135 bambini ad agire in attacchi bomba suicidi, un numero 5 volte più elevato rispetto al 2016. Le cose non vanno meglio in Repubblica Centrafricana, dove un rilevante incremento delle violenze ha causato la morte, lo stupro, il rapimento e il reclutamento da parte di gruppi armati di diversi bambini, mentre in Yemen, dopo circa 1.000 giorni di combattimenti, almeno 5.000 bambini sono morti o sono stati feriti, ma il numero reale potrebbe essere molto più alto.
E poi ancora in Somalia, dove nei primi 10 mesi del 2017 sono stati registrati 1.740 casi di reclutamento di bambini; e circa 19.000 sono i bambini soldato reclutati in Sud Sudan dall’inizio della guerra nel 2013. In Iraq e in Siria i minori sono invece usati come scudi umani nelle zone sotto assedio e bisogna ricordare anche i bambini rohingya in Myanmar che hanno sofferto e assistito a terribili e diffuse violenze e sono stati costretti a lasciare le loro case nello Stato di Rakhine.
Malattie e traumi, conseguenze indirette dei conflitti
In alcuni contesti, riferisce ancora Unicef, “i bambini rapiti da gruppi estremisti hanno subìto abusi anche dopo il rilascio, quando sono stati presi in custodia dalle forze di sicurezza”. E ci sono inoltre le conseguenze indirette dei conflitti, altri milioni di bambini stanno soffrono di malnutrizione, malattie e traumi, dato che i servizi di base – che comprendono accesso a cibo, acqua e servizi igienici e sanitari – vengono loro negati, danneggiati o distrutti durante i combattimenti.
Ai nostri microfoni il portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini, mette in risalto un altro dato interessante relativo all’emergenza educativa: “In Nigeria, nell’ultimo anno e durante tutto il periodo in cui Boko Haram ha messo a ferro e fuoco il Paese, sono stati uccisi oltre 2200 insegnanti. Che cosa vuol dire? Che si attenta all’istruzione, che si attenta alla possibilità di dare a questi bambini le giuste consapevolezze sul proprio futuro”. Di conseguenza, aggiunge Iacomini, “li si lascia all’interno di fenomeni come le mutilazioni genitali, i matrimoni forzati oppure a livelli di istruzione talmente bassi che poi, purtroppo, li portano a buttarsi tra le braccia di questi movimenti”.
Appello Unicef per rispetto obblighi internazionali
Per questo motivo l’Unicef chiede a tutte le parti in conflitto di rispettare gli obblighi del diritto internazionale per porre immediatamente fine alle violazioni contro i bambini e all’utilizzo delle infrastrutture civili - come scuole e ospedali - come obiettivi. Un appello rivolto anche a tutti gli Stati che possono esercitare influenza sulle parti in conflitto, al fine di garantire protezione per i bambini.
Al tal proposito Iacomini sostiene che “bisogna uscire dall’ipocrisia del fatto che molte guerre non interessano tutti. Ci sono guerre per procura, che vedono come protagoniste le grandi potenze internazionali. Quindi è soltanto attraverso il dialogo e specialmente in sede di Nazioni Unite, dove spesso il Consiglio di sicurezza blocca interventi fondamentali per i bambini proprio perché magari ci sono degli interessi nazionali, che bisogna intervenire”. “In fondo – prosegue il portavoce di Unicef Italia – si tratta di dare seguito agli appelli che il nostro Papa, Papa Francesco rivolge quasi continuamente a tutti governanti della Terra”.
Diminuisce la mortalità infantile
E se sul fronte dei conflitti la situazione resta drammatica, allo stesso tempo vale la pena ricordare che ci sono buone notizie riguardo l’istruzione e la malnutrizione. I numeri incoraggianti sono offerti ancora da Iacomini:“Abbiamo riportato a scuola 11 milioni di bambini tra la Siria e l’Iraq e stiamo ricostruendo le scuole una ad una; abbiamo salvato circa 58 milioni di bambini in molte aree del mondo, dall’Africa all’Asia, donando 2,8 miliardi di dosi di vaccino grazie alla generosità dei donatori. Abbiamo salvato tre milioni di bambini dalla malnutrizione acuta grave, una tra malattie, purtroppo, ancora importanti”.
Ma il dato più sorprendentemente positivo, evidenziato da Iacomini, è quello che riguarda la mortalità infantile. “Circa 20 anni fa, in questi Paesi del mondo si moriva per cause prevenibili o curabili; venti milioni di bambini all’anno perdevano la vita. Oggi grazie agli interventi di cui abbiamo parlato siamo riusciti a ridurre la mortalità infantile la 20 a 5,9 milioni. Questo vuol dire che ogni giorno ancora 15mila bambini muoiono per cause prevenibili o curabili, come semplici diarree”.
Non perdere nemmeno più una vita per cause prevenibili è l’obiettivo dei prossimi anni. “Noi dobbiamo cercare di portare a zero questo numero – conclude Iacomini -, perché se da 20 milioni all’anno siamo arrivati a 5,9, vuol dire che possiamo arrivare all’obiettivo di zero bambini morti per cause prevenibili o curabili. Questo è l’impegno che Unicef si è posto”.
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