Unicef: gennaio di sangue in Medio Oriente e Nord Africa. 83 bambini uccisi
Marco Guerra – Città del Vaticano
Continua la strage di minori in Medio Oriente e nel Nord Africa. L’Unicef denuncia che almeno 83 bambini sono morti a causa di conflitti e violenze in Siria, Yemen, Libia, Iraq e Palestina. Geer Cappelaere, direttore regionale Unicef, nella regione ha spiegato che i bambini sono stati colpita in maniera brutale in attacchi suicidi o morti assiderati mentre scappavano da zone di guerra. “Questi bambini – ha dichiarato in una nota Geer Cappelaere - hanno pagato il prezzo più alto per guerre per cui non hanno assolutamente alcuna responsabilità. Sono bambini, bambini! Le loro vite sono state stroncate, le loro famiglie saranno distrutte per sempre dal dolore”.
Conflitti dimenticati dalla comunità internazionale
Il dramma è acuito dalla sensazione che queste aree di crisi siano ritenute pacificate da buona parte della opinione pubblica internazionale. Questa la denuncia fatta ai nostri microfoni dal portavoce di Unicef Italia, Andrea Iacomini: “Siamo assolutamente assuefatti anche alla morte di bambini. Il dato che più sconcerta di queste 83 persone innocenti uccise – tra lo Yemen, la Libia, l’Iraq e la Palestina – è il fatto che, purtroppo, sembra che queste guerre, nell’immaginario collettivo, siano finite. In realtà, invece, sono più fratricide e peggiori degli anni scorsi, e provocano gravi danni nei confronti dei bambini”.
Ancora violenze e privazioni in Nord Africa e Medio Oriente
L’unicef offre quindi un report dettagliato della situazione in questi paesi devastati dal conflitto. La Siria si appresta ad entrare nell’ottavo anno, con l’intensificarsi dei combattimenti nel Paese nelle ultime quattro settimane 59 bambini sembra siano rimasti uccisi. In Yemen, le Nazioni Unite hanno accertato la morte di 16 bambini a causa di attacchi in tutto il Paese. L’Unicef sta ricevendo notizie di bambini uccisi e feriti ogni giorno, mentre il conflitto aumenta in tutto il paese. A Bengasi, nella parte orientale della Libia, durante un attacco suicida sono rimasti uccisi tre bambini. Altri tre sono morti mentre stavano giocando vicino a un ordigno inesploso – un quarto bambino è ancora in condizioni critiche in seguito all’esplosione. In Iraq, nella città vecchia di Mosul, un bambino è stato ucciso in una casa piena di esplosivi. Un ragazzo è stato ucciso in un villaggio vicino a Ramallah, nello Stato di Palestina. Infine in Libano, durante un temporale invernale, 16 rifugiati, fra cui quattro bambini, sono morti assiderati mentre cercavano di scappare dalla guerra dalla vicina Siria. Un numero molto maggiore di bambini sono stati ricoverati in ospedale con ustioni da freddo.
Milioni di bambini privati dell’infanzia
Ora bisogna fare i conti non solo con le vittime ma anche con milioni di bambini privati della loro infanzia, mutilati per tutta la vita, traumatizzati, arrestati e trattenuti, sfruttati, non sono potuti andare a scuola e non hanno potuto avere accesso ai servizi sanitari più essenziali; è stato negato loro anche il diritto fondamentale di giocare.
“La partita si gioca a casa loro, ma non nel senso di rimandarli a casa loro”, afferma ancora Iacomini, “per impedire che ci siano dei rischi per la sicurezza anche nel nostro Paese, come prima cosa serve fare un appello quotidiano affinché questi conflitti trovino una soluzione”. Spesso e volentieri, sottolinea ancora il portavoce dell’agenzia Onu, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni è paralizzato proprio dalle strategie multiformi, diverse, dei vari Paesi, “che impediscono di risolvere questi problemi, che poi di fatto cadono tutti sulla testa dei bambini che vivono in questi contesti. E poi, inevitabilmente, provocano movimenti umani”.
L’Unicef impegnata per il recupero psicologico dei minori
Serve dunque intervenire su queste giovani che hanno conosciuto solo la guerra. In questo senso Unicef fa un’attività enorme di recupero psicologico, di reinserimento e di ricongiungimento familiare. Iacomini spiega che questo lavoro impedirà che poi questi bambini vivano non soltanto l’angoscia di un mondo che è completamente cambiato, ma soprattutto che in qualche modo aumenti in loro quella rabbia e quella sete di vendetta. L’obiettivo è evitare che questi siano in futuro dei jihadisti. “Le bombe sociali nascono quando non risolviamo in casa loro questi problemi”. Ecco, conclude Iacomini, in questi Paesi ci sono ovviamente problematiche che riguardano l’infanzia e che inevitabilmente portano alla fuga: una fuga da contesti molto gravi.
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