Centrafrica: p. Trinchero, morte sacerdote a Séko è nostro Venerdì Santo
Giada Aquilino - Città del Vaticano
È arrivata “con forza” la condanna da parte del cardinale Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, e dell’imam Omar Kobine Layama, presidente della Comunità islamica centrafricana, alle violenze scoppiate negli ultimi giorni a Séko, nella parte meridionale del Centrafrica, con un bilancio di diverse decine di morti, tra cui don Joseph Désiré Angbabata, il parroco di San Carlo Lwanga, deceduto in seguito alle ferite riportate nell’assalto alla parrocchia. La popolazione sta soffrendo le conseguenze degli scontri scoppiati la scorsa settimana tra l’Upc (Unité pour la paix en Centrafrique), formazione nata dalla scissione del movimento Seleka, e i miliziani anti Balaka, gruppi già al centro del conflitto scoppiato nel 2013 col rovesciamento da parte dei ribelli Seleka del presidente François Bozizé. “Questo episodio ha in un certo senso anticipato il Venerdì Santo”, riferisce da Bangui padre Federico Trinchero, del Convento di Nostra Signora del Carmelo, nella capitale centrafricana. La diocesi di Bambari, a cui appartiene Séko, “da poco - racconta il missionario - ha un giovane vescovo centrafricano, mons. Richard Appora, che quindi si trova a gestire una situazione di estrema difficoltà”.
Tensioni impediscono riti funebri solenni
“La Seleka - prosegue il carmelitano - era una coalizione di gruppi ribelli che puntava alla conquista del potere: una volta mancato tale obiettivo, circa due anni fa, la Seleka si è sciolta e quindi ora sono in azione gruppi di ribelli con varie denominazioni che portano a termine diversi attacchi: si dice che l’80% del Paese sia infestato da questi gruppi di ribelli”. Nelle violenze a Séko sono morti, oltre al domenicano Angbabata, anche alcuni parrocchiani: “purtroppo non è stato possibile organizzare un funerale solenne per le vittime - che sono state seppellite vicino la parrocchia – sia perché la chiesa si trova in piena savana, senza grandi vie di comunicazione, sia perché gli spostamenti in quella zona ad alta tensione, con gruppi di ribelli che spuntano da ogni parte, sono difficili”, spiega padre Federico.
La chiesa come rifugio
In questo quadro, don Joseph Désiré Angbabata rimane l’espressione della giovane ma coraggiosa Chiesa centrafricana. “Anche in questa situazione drammatica - aggiunge - è bello vedere come la chiesa sia un luogo di rifugio, come la gente abbia fiducia nei suoi sacerdoti, ora in molta parte autoctoni, a fianco dei missionari presenti”. A Séko, i cristiani “si sono rifugiati” nella parrocchia quando la città è stata attaccata. A Markounda, nel nord del Paese, la parrocchia locale “da più di un mese ospita circa 8 mila profughi, persone che vengono dai villaggi limitrofi, dove ci sono stati scontri e incendi”.
Lo spirito della visita del Papa
Il cardinale Nzapalainga e l’imam presidente della Comunità islamica centrafricana hanno ancora una volta esortato il Paese alla pace. A quasi due anni e mezzo dal viaggio di Papa Francesco, che a novembre 2015 portò uno spirito di riconciliazione in tutto il Centrafrica, oggi “c’è il rischio di andare indietro” ma rimane forte la speranza che la situazione “non degeneri”, conclude padre Trinchero.
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