Fine vita, Svizzera verso nuova direttiva. Dure critiche dei vescovi
Federico Piana-Città del Vaticano
In Svizzera un medico potrà decidere in piena autonomia se aiutare un malato terminale a morire sia deontologicamente giusto o no. Questo accadrà quando verranno approvate le modifiche alla direttiva del 2004 ‘Atteggiamenti di fronte al fine vita e alla morte’ volute dall’Accademia delle scienze mediche, considerato il “più alto organo morale che orienta la pratica medica del Paese”. Un punto non proprio marginale, tanto che la Conferenza episcopale elvetica ha criticato con fermezza la sostituzione dell’oggettività delle finalità della medicina con “un relativismo che mette unilateralmente l’accento sull’autodeterminazione dei pazienti e l’opinione soggettiva del personale medico”. Tradotto in parole più semplici, spiega il prof. André-Marie Jurumanis, membro della Commissione di Bioetica della Conferenza dei vescovi svizzeri, sarà il singolo medico a stabilire “cosa è male e cosa è bene. E questo è scritto. Contrariamente alla direttiva del 2004 nella quale si stabiliva che l’assistenza al suicidio era contraria agli scopi della medicina”. Un passo in avanti pericoloso temuto dai vescovi svizzeri perché il concetto di base potrebbe essere allargato ad altre situazioni e ad altri campi.
Il suicidio non è una risposta alle sofferenze
La professione del medico non è quella di uccidere ma di assistere e curare. Priorità forse in via di profonda ridefinizione. “Ormai assistiamo ad una schizofrenia tra il giuramento di Ippocrate- che chiede al medico di non uccidere in ogni caso – e la decisione di affidarsi alla soggettività del medico chiamato a scegliere tra la vita e la morte. Il suicidio assistito non è la risposta alle sofferenze dei paziente” precisa il prof. Jurumanis, ribadendo che queste modifiche non sono rispettose della dignità del malato e del medico.
L’obiezione di coscienza non è a rischio
Anche se nella bozza del nuovo testo viene mantenuto intatto il diritto per i medici di avvalersi dell’obiezione di coscienza, un rischio più subdolo e più potente si palesa all’orizzonte. “Questo rischio – ammonisce il prof. Jurumanis facendo eco alla Conferenza Episcopale elvetica – è il contesto sociale che si va pian piano formando nella società: chi non vorrà praticare il suicidio assistito verrà giudicato come una persona senza compassione, come colui il quale non rispetta l’autonomia dei malati”.
La Commissione di Bioetica non dice "no" a tutto il documento. Qualcosa si può salvare
Questo documento, però, non è tutto da buttare. La Commissione di Bioetica dei vescovi svizzeri ci tiene a precisarlo: ” Ad esempio il rifiuto dell’eutanasia e un approccio equilibrato alla sedazione sono punti positivi. Sugli altri speriamo possa esserci un ripensamento. Del resto, la società non tollera gli interventi limitativi del principio sbagliato di autodeterminazione. Per questo noi abbiamo il diritto di intervenire, ovviamente dialogando”.
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