Land Grabbing, il fenomeno dello sfruttamento delle terre
Salvatore Tropea – Città del Vaticano
Secondo il primo Rapporto “I padroni della Terra. Il land grabbing” di Focsiv, in collaborazione con Coldiretti, presentato oggi a Bari, dagli inizi di questo Millennio il fenomeno dell’accaparramento di terre fertili è andato in crescendo a danno delle comunità rurali locali. A perpetrarlo Stati, gruppi e aziende multinazionali, società finanziarie ed immobiliari internazionali che in questi anni hanno acquistato o affittato circa 88 milioni di ettari di terre in ogni parte del mondo.
L’impegno di Focsiv
Da anni la Federazione Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario, porta avanti una campagna che si chiama “Abbiamo riso per una cosa seria” per il diritto dei contadini dei Paesi del terzo mondo a produrre e auto-sostenersi. Come spiega a Vatican News Gianfranco Cattai, presidente della Focsiv, “quello che si tenderà a fare in futuro è proprio denunciare e sensibilizzare su quanto sta accadendo, perché il Land Grabbing è sempre di più un fenomeno dilagante”.
Terre sfruttate, popolazione disperata
Il presidente Cattai, oggi a Bari per la presentazione del Rapporto, racconta l’eloquente storia dei danni e della disperazione che questo fenomeno può portare alle popolazioni locali. La vicenda è quella di un produttore di pomodori in Burkina Faso che, racconta Cattai, “con la stagione andata bene ha affittato un camion per vendere la sua merce, ma ha trovato tutti i mercati saturi. La stessa situazione – spiega Cattai – si ripresenta quando l’uomo si trasferisce in Benin”. La perdita del lavoro e della merce andata male porterà l’uomo ad una disperazione tale che “si suiciderà, uccidendo anche i suoi figli”.
I Paesi interessati
Tra i primi 10 Paesi investitori – come riporta il comunicato stampa di Focsiv – oltre agli Stati Uniti, la Gran Bretagna e l’Olanda, vi sono quelli emergenti come la Cina, l’India ed il Brasile, ma lo sono anche Paesi petroliferi come gli Emirati Arabi Uniti oppure la Malesia, Singapore ed il Liechtenstein, che spesso si prestano come piattaforme offshore ad operazioni finanziarie per le aziende multinazionali internazionali. Sempre il rapporto della Federazione mette in evidenza i primi 10 Paesi oggetto degli investimenti. Tra questi, soprattutto, i Paesi impoveriti dell’Africa, come la Repubblica Democratica del Congo, il Sud Sudan, il Mozambico, la Repubblica del Congo Brazaville e la Liberia, mentre in Asia il Paese più coinvolto è la Papua Nuova Guinea, ma non mancano Paesi emergenti come l’Indonesia ed in Europa la Federazione Russa e l’Ucraina.
Come contrastare il fenomeno
Un primo modo di agire, spiega il presidente Focsiv, è quello, attraverso anche le Chiese locali, di “fare lobbying sui governi locali affinché ci sia una presa di posizione e non si favorisca questo fenomeno”. In secondo luogo, la sensibilizzazione deve arrivare anche da parte di Europa e Italia. “Il nostro Paese – sottolinea Cattai – non si deve impegnare soltanto nella cooperazione internazionale, ma anche e soprattutto nella coerenza delle sue politiche. L’Italia deve quindi far sì che le società italiane di agro-business non si rendano colpevoli dell’accaparramento delle terre”.
Il coinvolgimento italiano
Anche l’Italia, però, ha investito su un milione e 100 mila ettari con 30 contratti in 13 Stati, la maggior parte dei quali sono stati effettuati in alcuni Paesi africani ed in Romania. In generale le imprese italiane investono principalmente nell’agroindustria e nel settore energetico, in particolare biocombustibili.
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