Bangladesh: allarme monsoni per i profughi Rohingya
Michele Raviart - Città del Vaticano
Per i Rohingya fuggiti dal Myanmar e accampati in condizione precarie nell’area di Cox’s Bazar in Bangladesh, si avvicina la stagione dei monsoni, con tutti i rischi sanitari che questo comporta. La maggior parte dei profughi si trova infatti in un insediamento nato dall’ingrandimento di tre campi diversi e che ospita oggi 650mila persone.
Una distesa di tende sterminata
“Hanno costruito i loro alloggi improvvisati su alcune colline che sono state disboscate e terrazzate, mettendo canne di bambù con dei teli di plastica, uno ammassato all’altro, e scavando pozzi d’acqua, alle volte non abbastanza profondi e in maniera non distante dalle latrine”, ha spiegato Andrea Coccia, capo progetto di Medici Senza Frontiere in Bangladesh. “È una distesa di tende sterminata su queste colline. I numeri sono impressionanti. Camminando per i campi si incontrano bambini che giocano per strada, donne e uomini che si arrangiano andando a cercare un po’ di legna da bruciare per cucinare e scaldarsi. C’è chi apre un piccolo negozietto. Però queste sono attività molto estemporanee. In realtà, i Rohingya possono uscire dal campo solo di giorno e ci devono tornare la notte. Per legge non possono lavorare, e quindi, non potendo guadagnarsi uno stipendio, dipendono in maniera totale dall’aiuto delle organizzazioni umanitarie”
Un’etnia perseguitata
Di religione musulmana in un Paese a maggioranza buddhista, i Rohingya furono perseguitati dalla giunta militare in Myanmar fin dagli anni’80, che li privò della cittadinanza e di ogni accesso al lavoro e alla sanità pubblica. Dopo anni di tensioni lo scorso agosto una nuova offensiva dell’esercito birmano, definita “pulizia etnica” dalle Nazioni Unite, ha portato a un nuovo esodo nel vicino Bangladesh.
L’incontro con il Papa in Bangladesh
“A nome di tutti quelli che vi perseguitano, vi chiedo perdono. Dio, oggi, si chiama anche Rohingya”, aveva detto lo scorso dicembre Papa Francesco in Bangladesh, incontrando proprio un gruppo di rifugiati. Sebbene formalmente sia stato programmato il rientro dei profughi in Myanmar in due anni, le condizioni “non tendono ancora a un ritorno sicuro, dignitoso e sostenibile”, ha affermato l’Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni.
Il nuovo “ospedale sulla collina”
“Molti pensano di ritornare in Myanmar e si sentono cittadini birmani”, spiega ancora Andrea Coccia, “ma sanno che questo non potrà avvenire a breve”. La vita nel campo rischia quindi di durare ancora a lungo e per questo Medici Senza Frontiere ha costruito una nuova struttura, “l’ospedale sulla collina”, con l’obiettivo di rendere più facile l’accesso alle cure e prevenire potenziali epidemie. “L’idea è di riuscire a stabilizzare e a curare vicino al campo il maggior numero di pazienti possibile”, continua Coccia, “essere più vicino ai pazienti significa prendersi cura di loro in maniera più efficace, e riuscire a salvare maggiori vite”.
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