Centrafrica: Nzapalainga e missionario, non è crisi confessionale
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Torna la paura in Centrafrica. C’è anche un sacerdote cattolico tra le 16 vittime dell’ondata di attacchi di violenza armata, con granate e colpi di armi semiautomatiche, che ha colpito ieri la parrocchia di Notre Dame di Fatima a Bangui, dov’era in corso un’affollata celebrazione della Fraternité Saint Jooseph.
L’appello del cardinale Nzapalainga e dell’imam
Un appello per un ritorno “alla pacificazione e alla calma” è stato lanciato dall’arcivescovo di Bangui, il cardinale Dieudonné Nzapalainga, e dall’imam Omar Layama, presidente della Central African Islamic Community. A riferirlo lo stesso porporato in un’intervista rilasciata a Manuella Affejee, della redazione francese di VaticanNews.
Le vittime dell’attacco
Tra le vittime dell’attacco, il cappellano del movimento Fraternité Saint Jooseph, l’abbé Albert Toungoumale-Baba: un sacerdote “molto conosciuto, stimato e amato dalla gente”, che durante la guerra scoppiata nel dicembre 2013 “aveva accolto migliaia di profughi e aveva sempre lavorato per la pace e il dialogo”, racconta padre Federico Trinchero, carmelitano scalzo che opera al Convento di Nostra Signora del Monte Carmelo nella capitale centrafricana.
Attaccate una chiesa e una moschea
Dopo l’attacco alla chiesa, che ha causato anche la morte di un bambino e di un poliziotto, “c’è stata una manifestazione e la gente ha portato il corpo di questo sacerdote fino al palazzo presidenziale”, aggiunge il missionario carmelitano. Ad attaccare il luogo di culto, miliziani islamici del distretto PK5, “abitanti del Km5, l’enclave musulmana che si è creata nella città di Bangui, che è anche il polmone commerciale del Paese, dove si concentrano un po’ le tensioni da ormai 5 anni”, testimonia il carmelitano. Scontri sono poi scoppiati tra forze di sicurezza e membri del gruppo criminale denominato “Force” e un attacco pure alla moschea di Lakounga.
Presi di mira i sacerdoti ma crisi non è confessionale
La stampa internazionale parla di scontri e violenze a sfondo etnico e religioso: “io non penso che si possa parlare di uno scontro religioso, voluto da un gruppo determinato, con un disegno chiaro e stabilito, però non si può negare che ci siano spesso episodi da una parte e dell’altra. In questi ultimi tempi però soprattutto contro la comunità cristiana e i sacerdoti: nel mese di marzo, poco prima della Pasqua, un altro sacerdote e i suoi fedeli - ricorda padre Trinchero - sono stati uccisi nella parrocchia di Séko, nella diocesi di Bambari, al centro del Paese. Questi episodi continuano a moltiplicarsi e certo cominciano a inquietare la comunità cristiana e la società civile”. Anche il cardinale Nzapalainga riferisce di aver evidenziato, assieme all’imam, “che questa crisi non è confessionale”: “le ragioni profonde - sottolinea il porporato - risiedono nella ricerca dell’oro, dei diamanti e delle risorse minerarie”.
Tornare al dialogo
L’Onu, l’Unione Africana e quella Europea hanno condannato “senza riserva” sia l’attacco alla parrocchia sia quello alla moschea. “Per il Paese è un momento di grande e estrema precarietà perché questa guerra, iniziata ormai nel 2013, è diminuita, nel senso che non c’è tutta quella battaglia di allora, ma si assiste a focolai che si accendono di volta in volta”, spiega padre Trinchero. All’epoca si susseguirono sanguinosi scontri tra milizie Seleka e gruppi anti-Balaka, adesso invece “non si può dire che quelle formazioni siano così organizzate e precise da definire: nel tempo si sono sciolte, poi si sono creati dei gruppi di ribelli che fanno un po’ ognuno il loro gioco e ci sono episodi puntuali in quasi tutto il Paese. Secondo padre Federico “per il Centrafrica si tratta dell’ennesima occasione mancata perché due anni fa con la venuta del Papa - nel novembre 2015 - e con le elezioni del nuovo presidente, c’erano tutte le condizioni per ripartire e costruire qualcosa di nuovo”. A risuonare, allora, è ancora una volta la voce del cardinale Nzapalainga: “non dobbiamo cedere” - ribadisce - ma continuare a “rilanciare, vivificare la fede e riaccendere la speranza, il desiderio di riconciliazione, di dialogo, di guardarsi in faccia, per costruire il futuro dei centrafricani”.
(Ultimo aggiornamento: mercoledì 2 maggio 2018, ore 16:59)
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