Somalia, mons. Bertin: alluvioni e insicurezza gravano su sfollati
Giada Aquilino - Città del Vaticano
Sono quasi mezzo milione le persone colpite dalle alluvioni in Somalia e, di queste, 175 mila già sfollate dall’anno scorso e ora nuovamente costrette a spostarsi in altre aree. Lo denuncia Save the Children, quando sono circa 5,4 milioni i somali in condizioni di bisogno. “Abbiamo avuto due o tre anni di grande siccità; poi tutto di un colpo alla fine di marzo - inizio di aprile è cominciato a piovere ogni giorno. Quindi sono arrivate le inondazioni, tipiche lungo i fiumi Uebi Scebeli e Giuba, con perdite di vite umane, perdite per gli agricoltori, perdite dei campi”, racconta mons. Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mogadiscio e vescovo Gibuti.
Rischio malnutrizione ed epidemie
“La Somalia è un Paese che negli ultimi anni è stato colpito da una gravissima siccità che ha reso il terreno completamente secco e impermeabile. Le piogge delle ultime settimane sono state veramente molto abbondanti e hanno spazzato via interi villaggi”, spiega Daniela Fatarella, vice direttore di Save the Children-Italia. “C’è un fortissimo rischio di malnutrizione, aggravata dalla situazione attuale, ma anche condizioni igieniche estremamente precarie che possono portare epidemie di colera”, aggiunge la rappresentante dell’organizzazione internazionale.
Insicurezza ambientale e politica
“Le zone colpite sono soprattutto quelle lungo il fiume Uebi Scebeli, attorno a Belet Weyne, dove le inondazioni sono tipiche, e poi nella zona del basso Giuba. Lungo quei due fiumi - aggiunge mons. Bertin - abbiamo un’alta densità di popolazione: molte persone erano sfollate, soprattutto nella zona di Belet Weyne, perché la città è più sicura, per via dell’insicurezza sia della siccità sia pure politica, a causa della presenza di movimenti radicali, come gli al Shabaab”, che hanno “occupato” le loro terre. Il presule ricorda che “ci sono circa due milioni di sfollati interni in Somalia”. A inquadrare la situazione è Save the Children: “la gravissima siccità che ha colpito il Paese si è inserita proprio all’interno di una popolazione pastorizia nomade che è stata costretta ad abbandonare le proprie abitudini di vita, perché la maggior parte degli animali sono morti proprio per l’assenza di cibo e di acqua”, evidenzia Daniela Fatarella. “Come Save the Children - annuncia - stiamo cercando di raggiungere migliaia di persone per riuscire a portare loro quel minimo conforto necessario che oggi riguarda il sostentamento di base, l’acqua potabile, in alcuni casi il riuscire a salvare la vita di queste persone che si trovano in zone completamente allagate e a rischio vita”.
L’impegno sul campo
La Chiesa locale, attraverso la Caritas Somalia, ha risposto all’emergenza – sottolinea l’amministratore apostolico di Mogadiscio - grazie alla collaborazione di organizzazioni locali “che stanno mandando dei viveri proprio nelle zone colpite”. E Save the Children precisa che “oggi servono acqua potabile, cibo, servizi igienici e sanitari, zanzariere, quindi tutto quello che permette di avere una vita normale, nel senso di basilare”, dice Daniela Fatarella.
La rinascita dello Stato
In questo quadro di estrema precarietà, conclude mons. Bertin, “l’auspicio è sempre quello di una rinascita dello Stato, perché se ci sono queste alluvioni vuol dire che i due fiumi non sono stati messi in protezione, non sono stati puliti, non sono state create delle mini dighe per frenare l’acqua, che arriva sia per la pioggia che scende in Somalia ma anche dall’Etiopia, dove pure sta piovendo molto in questo momento”.
Rapita a Mogadiscio un’infermiera
Ad aggravare la situazione, la notizia del rapimento ieri a Mogadiscio di un'infermiera tedesca del Comitato internazionale della Croce Rossa ad opera di uomini armati.
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