ForGood: sport per il benessere dei bambini di periferia
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Partire dallo sport per garantire il diritto alla salute dei bambini con fragilità sociale. E’ l’obiettivo del progetto “ForGood, sport è benessere” realizzato dalla onlus Sport senza frontiere in collaborazione con l’ Università di Tor Vergata e con il Centro di Medicina dello Sport dell’Università del Foro Italico. Per due anni, dal 2015 al 2017, Più di 500 bambini dei quartieri marginali di Napoli, Roma Milano e a Buenos Aires, tra i 6 e i 12 anni, sono stati inseriti in attività sportive e all’inizio e alla fine del percorso sono stati sottoposti ad uno screening pediatrico approfondito e una serie di colloqui psicologici, rivolti all’intero nucleo familiare.
Inclusione sociale e prevenzione sanitaria
I risultati preliminari di questo intervento di inclusione sociale e prevenzione sanitaria, sono stati presentati la scorsa settimana a Roma, nel salone d’Onore del Coni, nel corso di #BeAlive, la festa dello sport organizzata allo Stadio dei Marmi dalla Fondazione Cortile dei Gentili del Pontificio Consiglio della Cultura, da Sport Senza Frontiere e Opes, con il patrocinio del Coni. Nel corso della conferenza “Lo sport come contrasto alla povertà infantile”, è stato riaffermato che lo sport “può contrastare efficacemente la povertà infantile intesa non solo come condizione economica, ma nel suo significato più ampio: povertà educativa, alimentare, relazionale di quegli individui e famiglie che si trovano in situazioni di disagio socio economico e a rischio emarginazione”.
Più di 500 bambini, 30 sport diversi
La responsabile del progetto ForGood, la psicologa Sara Di Michele, sottolinea a Vatican News che “questi 504 bambini, di cui il 10% solamente aveva praticato sport in passato, hanno ottenuto grandi risultati, grazie allo sport, soprattutto sulle competenze motorie, cognitive e sociali”. In 126 società sportive i ragazzini hanno potuto praticare 30 diverse discipline, dal calcio all’equitazione, dal nuoto al rugby e molte altre. Sono stati organizzati, ricorda la psicologa di Sport senza frontiere, “anche diversi laboratori di nutrizione che hanno insegnato ad aggiustare un po’ gli stili di vita dei bambini”.
Mille visite mediche e colloqui psicologici
L’Università di Tor Vergata ha affiancato il progetto elaborando il protocollo relativo alla screening sanitario e analizzando i risultati delle visite mediche effettuate, che sono state più di mille, grazie ai ventidue gli enti socio assistenziali e sanitari coinvolti. I primi numeri del progetto sono stati presentati da Stefania Moramarco, ricercatrice del dipartimento di biomedicina e prevenzione dell’ateneo di Tor Vergata. “Partendo dallo sport – spiega a Vatican News - ci siamo accorti che c’erano tante problematiche a livello di salute, a livello alimentare di questi bambini, che per il 90 per cento appartengono a famiglie di un basso livello socio-economico”. Il 48 per cento dei ragazzi italiani e il 40 degli immigrati ha il padre disoccupato.
Il 30%dei bambini era sovrappeso o obeso
Il 70 per cento dei bambini coinvolti non aveva mai effettuato una visita pediatrica, più di uno su quattro non era iscritto al sistema sanitario e la metà non era il regola con le vaccinazioni obbligatorie. Tutti questi bambini sono stati iscritti al sistema sanitario e vaccinati. Circa il 30 per cento dei ragazzi alla prima visita è risultato sovrappeso o obeso. Un bambino su quattro non faceva colazione regolarmente, e al termine del progetto solo uno su sei. E’ aumentato il consumo di verdure e si è ridotto quello di caramelle, dolci e bibite gassate.
Una vita più attiva migliora la salute dei ragazzi
“Le abitudini alimentari di questi bambini stanno piano piano migliorando – commenta Moramarco - e questo migliora anche la loro salute. Ma è soprattutto grazie allo sport nel quale sono inseriti, che gli permette di avere una vita più attiva”. “Abbiamo quasi un 25%di figli di genitori separati, che attraverso lo sport recuperano un po’ la socialità, l’aspetto del bello, dello stare insieme, del gruppo e possiamo dire che trovano una nuova famiglia nella quale si sentono integrati”.
Famiglie che non possono permettersi lo sport
“Lo sport contribuisce a contrastare l’emarginazione – commenta ancora Sara Di Michele - perché quando si parla di disagio socio-economico si parla anche di deprivazione di stimoli e isolamento. La famiglia che non può permettersi l’attività sportiva è la stessa famiglia che fa fatica ad uscire, che resta spesso chiusa in casa, i bambini spesso rimangono davanti alla televisione. Lo sport è quello che tira fuori il bambino e insieme tira fuori anche la famiglia”.
Il progetto non si ferma, ma servono risorse
Chiediamo alla psicologa Di Michele, cosa succederà ai ragazzi ora che il progetto si è concluso. “Noi di Sport senza frontiere lo stiamo continuando con le nostre risorse – ci dice - è difficile dire ad un bambino non fai più parte di un progetto. Certo con più risorse potremmo continuare meglio e arrivare a più bambini. C’è sempre di più il fenomeno dei nuovi poveri, di chi perde il lavoro e fa sempre più fatica a pagare l’attività sportiva a uno o due figli”.
Il premio “Sport e integrazione” del Coni
ForGood, sport è benessere ha ricevuto il premio “Sport ed integrazione” del CONI e nel 2016. Grazie all’Università di Tor Vergata, il progetto è stato presentato allo IUNS 21st International Congress of Nutrition di Buenos Aires e a Torino al Congresso nazionale della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica. La Fondazione dell’Università del Foro Italico, attraverso il suo Centro di Medicina dello Sport, ha svolto le visite mediche su Roma, mentre del comitato tecnico-scientifico di Sport senza frontiere fa parte il professor Fabio Bocci, docente di Pedagogia speciale, Dipartimento Scienze della Formazione, Università Roma Tre.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui