Centrafrica: quando il Vangelo è più forte di violenza e povertà
Debora Donnini-Città del Vaticano
Nella Repubblica Centrafricana si fronteggiano ben 16 gruppi armati. C’è tanta violenza, perché c’è tanta povertà: la gente cerca risposte ai bisogni essenziali, pur essendo un Paese ricchissimo di risorse come oro, uranio e diamanti. Lo racconta, nell’intervista a Vatican News, don Dante Carraro, direttore di Cuamm Medici con l’Africa, tornato da poco dal Centrafrica dove ha trovato una situazione molto difficile.
Il Paese è stato depredato letteralmente e su questa povertà si sono innescati questi 16 gruppi armati ormai fuori controllo. Il governo gestisce un po’ la situazione nella capitale, Bangui, con l’aiuto delle forze internazionali. Purtroppo però, fuori dalla città, il Paese è in mano a queste bande che non agiscono costantemente ma fanno alcuni attacchi come nel caso delle 23 persone uccise tre mesi fa o nel caso del vicario generale morto 15 giorni prima della mia missione. Si tratta dunque di un Paese poverissimo che ha al suo interno queste violenze, queste insicurezze frutto di disperazione.
Attacchi che nascono quindi dalla ricerca di controllare le risorse del Paese...
Sì, per le risorse. Basti pensare che la malnutrizione è diffusissima. È un Paese che non ha pediatri: ce ne sono quattro in tutto il Paese! Due di questi lavorano nell’ospedale pediatrico di Bangui e gli altri due fuori. È Paese grande due volte l’Italia, con cinque milioni di abitanti e con quattro pediatri! Solo dal punto di vista sanitario, c’è una copertura vaccinale che non supera il dieci percento. Questo vuol dire che su cento bambini, soltanto dieci sono vaccinati.
Voi come Cuamm Medici con l’Africa, siete impegnati in Centrafrica nella formazione del personale sanitario dell’unico ospedale pediatrico del Paese, con il quale il Bambino Gesù, dopo la visita di Papa Francesco nel 2015, ha iniziato una collaborazione. Quale è la vostra attività concretamente?
Prima di tutto intervenire nella gestione di un ospedale pediatrico, l’unico del Paese, che ha 196 posti letto ed è – ripeto – in mano a due pediatri. In secondo luogo fare formazione del personale, in particolare quello paramedico, cioè degli infermieri, dei tecnici … Lì si innesca la collaborazione con il Bambino Gesù, che ha realizzato un nuovo reparto per bambini malnutriti. Questi bambini tre anni fa, quando Papa Francesco è andato nel Paese, erano sistemati, accantonati in tende che erano nel giardino dell’ospedale. Papa Francesco ha detto: “Questa cosa mi ha strappato il cuore”. Da qui la determinazione, una volta rientrato, di chiedere al Bambino Gesù di aiutare l’ospedale. Quindi il Bambino Gesù ha realizzato questo reparto per bambini malnutriti e adesso con noi gestirà la formazione del personale medico.
In Centrafrica la condizione delle strutture sanitarie è drammatica con sei ospedali regionali senza acqua né energia elettrica. Quali le sfide che vi trovate di fronte?
Dal punto di vista medico conosciamo tutto della malaria, eppure tanti bambini muoiono ancora di malaria; sappiamo bene cosa sia una gastroenterite, una diarrea, una dissenteria … Ma il problema è che se non hai acqua pulita, perdi quel bambino, così come sappiamo cosa sia una polmonite ma se non hai farmaci, antibiotici in particolare, perdi il bambino. Gli ospedali regionali - sono sei - sono quelli più grandi e ben attrezzati del Paese. Se questi, che dovrebbero essere gli ospedali di riferimento delle aree periferiche, sono senza acqua ed energia, senza personale medico e paramedico e senza farmaci, la situazione è completamente allo sbando.
Dal punto di vista spirituale e umano, come lottare contro la violenza e creare condizioni di dignità per gli abitanti del Paese?
Porto nel cuore il dialogo che ho avuto con il cardinale arcivescovo di Bangui, Dieudonné Nzapalainga. E’ stato nominato cardinale proprio dopo la visita di Papa Francesco. È un uomo che anche nelle situazioni più drammatiche è stato capace di portare un minimo di dialogo. Lì nella parrocchia dove è stato ucciso il vicario generale della diocesi, i cattolici erano arrabbiati. Vedere ucciso il proprio prete in una maniera straziante come quella… Volevano reagire. Il cardinale ha preso la sua auto, è andato lì, è stato con la comunità, ha parlato ed ha portato la comunità stessa a credere che solo il Vangelo, solo la pace, possono portare alla non violenza, alla costruzione di un futuro di cui c’è un bisogno estremo. Si vede soprattutto negli occhi dei giovani questo desiderio di voler costruire un futuro basato non sulla violenza ma sulla fiducia che il Vangelo è più potente della violenza.
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