Vertice di Helsinki: segno di un mondo cambiato
Emanuela Campanile, Fabio Colagrande - Città del Vaticano
Per l’editorialista Fulvio Scaglione il vertice fra Trump e Putin in Finlandia segna un mutamento storico degli equilibri geopolitici a sfavore dell’Unione Europea. Il vertice russo-statunitense tenutosi a Helsinki il 16 luglio può essere "un punto di partenza" per il rilancio delle relazioni russo-americane. Lo sostengono diversi quotidiani russi che analizzano l'incontro di ieri fra Putin e Trump.
Trump: Usa-Russia verso accordo in Siria
Dal canto suo, il presidente americano in un'intervista a Fox ha affermato che gli Stati Uniti e la Russia si stanno avvicinando a un accordo sulla Siria e che con Putin ha “discusso di Isis e terrorismo''. Commentando l'incontro fra i due presidenti, il New York Times ha invece accusato Trump di “sabotare i legami dell'America con la Nato e l'Ue” e di “non aver difeso gli interessi degli Stati Uniti durante l’incontro”. Nel colloquio in Finlandia i due leader mondiali hanno inoltre cancellato il cosiddetto Russiagate, definendolo "una farsa", e assicurando che non ci sia stata alcuna interferenza russa nelle elezioni nel 2016.
Segno di un cambiamento
Nonostante, dunque, quelle che alcuni commentatori hanno definito le “cortesie reciproche” fra i due leader, il vertice - secondo Fulvio Scaglione, giornalista esperto di Asia e Medio Oriente, - non è stato privo di sostanza, soprattutto come segno di un mondo ormai profondamente cambiato. “Helsinki - spiega Scaglione - ha sancito l’affermazione di ciò che gli atlantisti vecchio stile, tradizionalisti, temevano succedesse, e cioè un Trump che fa il ‘liscio e busso’ agli alleati europei e poi tende un ponte di dialogo a Putin”. (Ascolta l'intervista integrale)
Perchè "nulla è per caso"
“Tutto ciò non è successo per caso”, continua Scaglione. “Ricordiamoci che Trump è arrivato alla presidenza degli Usa in un mondo cambiato: e non è lui che sta cambiando il mondo”. “E’ il mondo della crisi economica post 2008, dell’ascesa economica della Cina. Dunque il presidente Usa, perseguendo il nazionalismo, vede nella Russia un Paese grintoso ma in difficoltà: con gli eserciti Nato alle porte e un’economia che non è certo in competizione con quella americana. Mentre guarda diversamente gli alleati europei: riottosi, divisi fra di loro, ma pur sempre artefici del 20% degli scambi commerciali mondiali. Alleati che - prima della riforma Trump - hanno a lungo applicato una politica dei dazi più restrittiva di quella Usa”. “Dunque, è ovvio - conclude Scaglione - che per Trump sia più conveniente prendersela con la debole, ma ricca, Europa piuttosto che con la grintosa ma povera Russia”.
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