Rohingya: l’Onu chiede il processo per i militari birmani responsabili dei massacri
Michele Raviart – Città del Vaticano
I leader militari del Myanmar devo essere processati per genocidio a causa dei crimini perpetrati contro la minoranza musulmana Rohingya, nello Stato occidentale di Rakhine. Ad affermarlo è un dossier del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, che ha riportato le conclusioni dell’indagine che l’organo internazionale aveva commissionato sei mesi fa. Si tratta di sei tra i più importanti generali dell’esercito, tra cui il comandante in capo Min Aung Hlaing.
Almeno 10 mila vittime
Gli investigatori, ai quali non è stato consentito l’accesso nel territorio del Myanmar e che hanno denunciato una mancanza di cooperazione da parte del governo, hanno intervistato centinaia di Rohingya espatriati nei campi profughi in Bangladesh dopo le persecuzioni e confrontato immagini satellitari. Tra i crimini compiuti dall’esercito ci sarebbero uccisioni, stupri di gruppo, incendi di villaggi e l’uccisione di bambini, con un bilancio al ribasso di almeno 10 mila vittime.
Diritti umani violati
“È importante che le istituzioni internazionali, le Nazioni Unite, come peraltro l’Unione Europea, assumano una posizione molto chiara nei confronti di quella parte del governo rappresentata dai militari, per la violazione dei diritti umani e la terribile situazione nello Stato Rakhine”, spiega Cecilia Brighi, dell’associazione “Italia-Birmania” (Ascolta l'intervista integrale a Cecilia Brighi sull'inchiesta Onu sui Rohingya). “Quanto poi il Consiglio per i diritti umani abbia un peso” continua, “questo è tutto da vedere, perché sino ad oggi il governo birmano ha rifiutato le conclusioni del Consiglio per i diritti umani ritenendolo non corretto e non rappresentativo della realtà”.
Per l’Onu è genocidio
Il documento usa espressamente la parola genocidio - termine usato dalle Nazioni Unite solo per i massacri in Bosnia e in Ruanda – allineandosi così alla posizione degli Stati Uniti, che avevano parlato lo scorso anno di “pulizia etnica” e dell’Unione Europea, che ha imposto delle sanzioni. La richiesta è quello di un processo ai militari davanti la Corte Penale Internazionale o l’istituzione di un tribunale speciale
Eliminare il clima d’odio
“La realtà è che il Myanmar non è parte della Corte Penale Internazionale, e quindi quest’ultimo non ha alcun ruolo nei confronti della Birmania”, commenta ancora Cecilia Brighi: “Penso che sia importante condannare i militari più alti in grado per quello che è successo e che continua ancora a succedere: cioè il fatto stesso che continui l’esodo verso il Bangladesh, che ci siano accuse di violazioni di diritti umani ancora oggi, e che il rientro stenta ad andare avanti, seppure siano stati fatti dei passi come ad esempio la costruzione di alcuni villaggi. Tuttavia, il documento del Comitato dei diritti umani afferma che di questo passo ci vorranno dieci anni prima che si riuscirà a far ritornare tutti. E bisogna ovviamente garantire tutta una serie di altre misure, che sono la possibilità di avere una cittadinanza, l’eliminazione del clima di odio e di conflitto”.
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